Beatificazione e Illuminazione
La via verso l’Illuminazione è, sostanzialmente, la maturazione della capacità di produrre Beatitudine. Liberandoci dall’inferno sofferenza ci rendiamo purgatorio, ambito purificante e consapevolizzante, aprendoci così l’opportunità di diventare il Paradiso Beatitudine. il percorso di illuminazione è un processo di beatificazione, in vita, chiaramente. Nel considerare l’inferno, il purgatorio, il Paradiso e la beatificazione, come (ipotetici) fenomeni post mortem, faremmo bene a considerare che senza la vita non ci possono essere esperienze, pertanto nemmeno sofferenza e Beatitudine, Pace.
La Beatificazione, intesa come riconoscimento da parte della Chiesa dell’ascensione in Paradiso di una persona defunta, andrebbe vista come specie di premio alla carriera, non come il raggiungimento del Paradiso da parte del defunto.
Vita, morte ed Eternità
Dopo la morte non andiamo da nessuna parte, il viaggio post mortem è impossibile: come individui moriamo, mentre Ciò che rimane di noi è senza tempospazio. Il movimento individuale esige spazio e con la morte cessa la produzione del nostro spazio: ogni luogo percepito è un’esperienza che produciamo in noi stessi e senza la vita non ci può essere sperimentazione, pertanto luogo e viaggio. Ciò che percepiamo e definiamo come viaggio è una serie di esperienze interiori. Non andiamo, per esempio, da una città all’altra, ma nella mente si creano diverse percezioni che definiamo varie città, come si crea anche l’esperienza corpo che appare prima in una città poi in un’altra, ma comunque in noi stessi, come forma prodotta dalla nostra percezione. Tutto ciò che solitamente definisce l’individuo (corpo, emozioni e pensieri) cessa di esistere con la morte. Certo, il cadavere continua a esistere, ma non è animato ed è percepibile soltanto dai vivi che creano nella loro percezione l’esperienza definita cadavere, forma inscindibile dalla percezione, inscindibile a sua volta dalla vita.
La morte rappresenta la nostra cessazione come individuo, l’Anima continua però ad esistere; uso il concetto di Anima giusto per utilizzare un concetto spesso associato alla cosiddetta vita dopo la morte. In questo caso, l’Anima può essere associata a tre elementi: l’Assoluto senza attributi è il Sé Reale; la Beatitudine è il Sé esperienziale; l’insieme matrice individualizzante-energie post mortem che è l’unico di questi tre elementi che deriva dalla nostra esistenza individuale.
Sé non individuale
L’Assoluto, Sé Reale, è l’Origine di ogni individuo, pertanto non può essere individuale.
La Beatitudine, Sé esperienziale, è una produzione dell’individuo, questo non significa però che è individuale, specifica per il singolo: ognuno produce in sé la stessa Beatitudine che gli altri producono in loro stessi. La qualità esperienziale definita Beatitudine è uguale per tutti, non ci sono diversi tipi di Beatitudine. In quanto individui, possiamo giungere alla conclusione che la Beatitudine è prodotta da noi, ma nella Beatitudine non c’è pensiero e pertanto non ci può essere nessuna idea di noi stessi, non possiamo definirci nemmeno come individuo. Definendo giustamente la Beatitudine, per Conoscenza diretta, non possiamo che definirla come esperienza non specifica, nella quale non esiste alcuna particolarità individuale.
La Beatitudine è la nostra esperienza primaria, madre di ogni altra esperienza.La Beatitudine da noi prodotta cessa di esistere con la morte di noi individuo, come elemento di noi individuo esiste soltanto durante la vita, mentre in quanto Sé esperienziale continuiamo ad esistere come tutta la Beatitudine prodotta dall’umanità. In quanto Dio Origine, invece, siamo l’Assoluto, Origine di ogni vita. Per evitare fraintendimenti sarebbe opportuno tenere ben presente che l’Assoluto è l’unico Sé Reale, l’unica Realtà: la Beatitudine e ogni altro elemento sono irReali espressioni del Sé Reale; questo non significa che non esistono, bensì che esistono solo come illusioni.
Anima e Santissima Trinità
L’identità tra anima individuale e Anima Suprema Beatitudine, come insegnano alcune tradizioni, andrebbe compresa come fatto che la Beatitudine è sempre la stessa Beatitudine, anche se prodotta da ognuno a parte. In questo senso, non esiste la differenziazione tra anima suprema e anima “individuale”, si tratta sempre della stessa Beatitudine. Sempre in questo contesto, la differenza tra Anima Suprema Beatitudine e anima “individuale”, può essere vista come differenziazione dalla Beatitudine delle esperienze prodotte dal singolo, rimanendo la Beatitudine sempre l’esperienza primaria di ognuno. Dalla prospettiva puramente esperienziale (nel senso di priva di pensiero, anche il pensiero è un’esperienza), ignorarSi significa produrre esperienze diverse dalla Beatitudine, perché in questo caso non produciamo in tutto il campo esperienziale il Sé esperienziale Beatitudine, pura Conoscenza in essere.
Il peccato inteso come separazione da Dio, può essere inteso proprio nel senso di “dualità” anima-Anima Suprema. La separazione non esiste, esiste solamente l’esperienza divisione, pertanto non possiamo mai essere separati da Dio. La “divisione” da Dio è la diversità esperienziale da Dio Beatitudine, quando il nostro esserci (campo esperienziale) non vibra interamente di Beatitudine, pertanto ignoriamo l’Anima, non ci conosciamo in quanto Dio Beatitudine: peccare significa non ConoscerSi, peccare è non esserSi. L’ignoranza è peccato, l’ignoranza esperienziale è la sofferenza, l’afflizione è il peccato sostanziale, soffrendo produciamo l’inferno vitale, soffrire è peccare di Sé: per fare del bene a noi stessi e all’umanità dobbiamo liberarci dal peccato, maturare la Conoscenza di Sé Beatitudine, divenendoLa, producendola nel nostro intero esserci.
Il concetto di identità tra anima individuale e Anima Suprema può favorire interessanti spunti di riflessione sul concetto di Santissima Trinità. Sostanzialmente, la maturazione spirituale è la maturazione della consapevolezza e la Beatitudine è la pura consapevolezza. La beatificazione, intesa come processo di consapevolizzazione, può pertanto essere lecitamente associata al concetto cristiano di Trinità, dell’unità delle Tre Persone Divine: Padre, Figlio e Spirito Santo. Da questa prospettiva, il Padre è la Beatitudine, espressione esperienziale primaria di Dio Origine. In quanto Beatitudine, il Padre si trova alla base dell’esserci del figlio essere umano, è la sua esperienza primaria. Lo Spirito Santo è il processo di beatificazione del figlio, l’espansione della Beatitudine in tutto il suo esserci (campo esperienziale), tramite la trasformazione della mente, finché il figlio diventa Figlio, perché la Beatitudine caratterizza il suo intero esserci. In questo senso, lo Spirito Santo è il Padre in espansione nel campo esperienziale del figlio. Il Padre, lo Spirito Santo e il Figlio sono dunque Uno, sono la Beatitudine. Si può parlare di Tre Persone diverse e della loro unità soltanto dalla prospettiva del processo di beatificazione, nel senso di uniformazione dell’esserci, perché sempre più caratterizzato dalla Beatitudine. Dalla prospettiva della Sostanza esperienziale, che è sempre la Beatitudine, invece, non c’è alcuna differenza: Dio Padre è la Beatitudine, lo Spirito Santo è Beatitudine, il campo esperienziale del Figlio è Beatitudine; più che di unità delle Tre Persone Divine si tratta perciò dell’Unica Una esperienziale, cioè della Beatitudine. Da questa prospettiva, la Santa Trinità può essere un mistero unicamente per chi non Si Conosce e non sa spiegarsi il processo di consapevolizzazione, beatificazione.
Precisazione: il concetto di Trinità contempla l’uomo, non può quindi essere applicato al Padre Origine (Assoluto, Dio Immanifesto), perché è il Vuoto Assoluto senza diversità da Sé, quindi senza il figlio uomo.
Matrice individualizzante
L’anima individuale può essere intesa anche come matrice che rende possibile l’espressione individuo, il quale producendo il suo tempo spazio si riconosce come corpo, emozioni, pensieri, percezioni e Beatitudine. Si tratta della matrice che precede ogni esperienza, pertanto anche l’esperienza tempospazio. La matrice, di ciò che nell’ambito spaziotemporale viene riconosciuto come individuo diverso da tutti gli altri esseri umani, non è differenziabile come elemento individuale; questa matrice può essere definita come “relazionarsi” dell’unica Coscienza Originale con Se Stessa: il codice genetico spirituale è uno e si manifesta attraverso la moltitudine individuale. Giusto per rendere l’idea, che però non deve risultare fuorviante, possiamo definire questo relazionarsi come matrice come individualizzante, perché permette l’individualizzazione; considerando comunque che la Coscienza Originale non è, in sostanza, nemmeno definibile. Possiamo soltanto avere delle idee su Questo ambito, che essendo senza esperienza non può essere sperimentato e misurato: le misurazioni e le definizioni esigono il mondo esperienziale, senza tempospazio non possiamo né misurare né affermare.
Nel voler considerare, forzatamente, la matrice individualizzante come continuazione della vita individuale dopo la morte, andrebbe considerato che la matrice individualizzante rimasta dopo la morte dell’individuo non produce alcuna esperienza, pertanto nessuna percezione, idea, emozione e consapevolezza di sé, che sono elementi fondanti di ciò che possiamo definire come individuo. Possiamo avere molte idee su noi stessi come anima matrice individualizzante, ma essa non ha definizioni né di sé né di noi che ci definiamo essa.
Dopo la morte dell’individuo, la “sua” matrice individualizzante inizia a perdere le caratteristiche individualizzanti, fino a scomparire come tale. La matrice individualizzante di chi durante la vita ha maturato un alto grado di consapevolezza ed energie qualitative, può, diciamo così, durare più “lungamente” (dal punto di vista temporale, quindi dei vivi), soprattutto se alimentata da pensieri, meditazioni e preghiere dei vivi; per esempio, grazie allo studio dei concetti di un filosofo defunto. Con la morte cessa l’individuo, rimangono però le energie senza forma conseguenti al suo operato, in vita chiaramente. Le energie senza forma post mortem, che non sono locali o percepibili, rendono possibile la creazione di immagini, voci, odori, sensazioni concernenti i defunti, nel campo esperienziale dei vivi. Ogni forma esige il campo esperienziale, che è inscindibile dalla vita. Non dimentichiamoci che anche il mondo percepito, cioè la percezione chiamata mondo, è una forma prodotta dalla percezione, basata su energie senza forma, che la percezione usa come base per manifestare in sé la forma mondo.
Considerando le energie post mortem, risulta alquanto veritiera la Beatificazione, intesa come ufficializzazione ecclesiastica della capacità del defunto beatificato di intercedere a favore dei fedeli. Le energie post mortem di qualità aiutano a risolvere i problemi di chi si rivolge loro, per esempio pregando un Santo. Non si tratta comunque di un’intercessione vera e propria del defunto, nel senso di una sua risposta consapevole alla preghiera, anche perché non esiste l’individuo consapevole defunto. Si tratta semplicemente di un’attivazione automatica specifica delle energie conseguente alla preghiera. La preghiera è anche produzione di programmi energetici che nell’interagire con le energie post mortem producono campi energetici che favoriscono: guarigioni, armonizzazioni, soluzioni di problemi, intuizioni… I Santi non possono pregare per noi, ma con le preghiere possiamo attivare le energie dei Santi in modo da beneficiare del loro potenziale di guarigione, illuminazione, risolutivo…
La quantità e la qualità, espresse sul piano spaziotemporale, delle energie post mortem, possono aumentare grazie alle preghiere e alle energie qualitative orientate “verso” il “defunto”. Si tratta di una specie di upgrade energetico; riguardo l’energia di un Santo o di un luogo da Sacro, possiamo chiederci quanta di questa energia è “direttamente” del Santo, e quanta invece è stata prodotta dall’interagire delle energie delle preghiere con le energie post mortem del Santo.
L’insieme matrice individualizzante-energie post mortem può essere definita come anima post mortem, ma non si tratta certamente dell’Anima Reale (Origine, Assoluto) e nemmeno dell’Anima esperienziale (Beatitudine). In quanto anima “individuale” l’insieme matrice individualizzante-energie post mortem, è destinata a cessare. Tutto ciò che ha inizio è destinato a terminare: solo il Sé Reale è Infinito, più precisamente è l’Infinito stesso, perché senza fine, perché senza inizio.
Pur essendo la matrice individualizzante sostanzialmente indefinibile, la sua non differenziabilità può essere rilevata unendo il processo deduttivo a quello meditativo. Grazie alla meditazione e al pensiero consapevole possiamo lecitamente dedurre che essendo la Beatitudine senza differenziazione, anche ciò che la precede, tra cui la matrice individualizzante, non conosce differenziazione oggettuale e non può essere definito come individuale o particolare, se non perché permette uno specifico esprimersi spaziotemporale. La matrice di ciò che nel tempospazio riconosciamo come individuo non è individuale, anche nel senso che si tratta del rapportarsi dell’unica Coscienza Originale con se stessa, relazionarsi che nel tempospazio si esprime come vita individuale. è inoltre utile considerare che ciò che non è spaziotemporale non è localizzato, perciò è non locale, mentre l’individuo è determinato dalla località, più precisamente, in quanto creatore del proprio tempospazio determina la località stessa: il luogo di residenza dell’individuo è lui stesso.
Le idee sbagliate sull’anima nascono anche dal presupporre l’esistenza di un universo a prescindere dallo sperimentatore. Così, alcuni immaginano che le anime entrino in questo universo preesistente, oppure lo abitino e scendano poi nei corpi fisici per abitarli; se così fosse si tratterebbe di una specie di possessione. Invece, è l’anima, intesa come matrice individualizzante, a rendere possibile l’ espressione individuo, la sua percezione e la comparsa dell’esperienza universo in essa: il cosmo percepito non esiste senza il soggetto che lo fa apparire, creandolo nella propria percezione! Il concepimento può pertanto essere considerato come una specie di big bang, grazie al quale prenderà forma un nuovo universo individuale.
Beatificazione e Paradiso
Per definire cosa significa raggiungere il Paradiso, anche per rispondere più ampiamente alle idee sulla Beatificazione intesa come raggiungimento del Paradiso, dobbiamo determinare cos’è il Paradiso.
Il Paradiso viene spesso definito come luogo di pace senza tempo, caratterizzato dalla felicità. La pace è un’esperienza e pertanto esige il tempo, quindi questa definizione di Paradiso è contraddittoria: il Paradiso o è la Pace oppure è senzatempo, quindi senza Pace e qualsiasi altra esperienza. Non esiste pace eterna: l’eternità è tale perché senza tempo, perciò senza esperienza. Certo, essendo la Pace l’esperienza senza distinzione in conoscitore e conosciuto, è priva della percezione tripartizione del tempo in passato-presente-futuro, pertanto senza la sensazione che il tempo scorra. La Pace è però pur sempre il tempo inteso come esperienza Presente, è l’esperienza tempo sperimentata puramente, totalmente presente a sé: quando la Pace permea l’intero campo esperienziale, produciamo lo stato che possiamo definire Presenza integrale. La Pace è il Presente esperienziale, mentre il Presente non esperienziale è l’attimo presente non sperimentabile, perché precede il nesso confine tra l’esperienza primaria (pura esperienza di esserci, Beatitudine) e la sua assenza. Affermare sii presente a te stesso significa dire Sii Pace, senza differenziazioni da Sé. Nell’ambito di questo ragionamento, davanti a noi ci sono due possibilità, definire il Paradiso come Pace o come Eternità.
Intendendo il Paradiso come Pace, raggiungerLo significa produrre Pace, Beatitudine, nell’intero campo esperienziale. In questo senso, il Paradiso è il Vuoto mentale e questo significa che è raggiungibile solo in vita, con la morte scompare la mente e la possibilità di ogni esperienza. Dopo la morte esiste la pace solo nel senso che con il decesso scompaiono definitivamente i conflitti, come “contrari” della Pace, ma non esiste la Pace intesa come esperienza. La “pace” dopo la morte deriva dall’impossibilità di fare esperienze, perché non c’è chi possa farle, producendole in sé. Per diminuire il rischio di fuorviare, va precisato che i conflitti sono sempre espressioni distorte della Pace, mai contrari della Pace, che in quanto esperienza primaria è la base di ogni esperienza: non possono esserci esperienze opposte all’esperienza primaria, esistono espressioni distorte dell’armonia, non contrari dell’armonia.
Il Paradiso Pace è l’Eden che portiamo sempre in noi come esperienza primaria, il nostro intero mondo si basa sul Paradiso, ma a causa dell’ignoranza produciamo sofferenza, inferno vitale. Non possiamo andare in Paradiso, la Pace è senza qualcuno, possiamo soltanto diventarLo, trasformando il campo esperienziale in Pace, volgendo sin d’ora emozioni, pensieri e attenzioni verso l’Eden in noi, per espanderlo in ogni punto del nostro esserci.
Definendo, invece, il Paradiso come Eternità, il Paradiso non è raggiungibile né in vita né dopo la morte. Essendo senza tempospazio non può essere la destinazione di alcun viaggio, che esige sempre il tempospazio. L’Eternità è l’Origine, il Vuoto Assoluto, la Realtà senza Coscienza, vibrazioni, energie, materia, consapevolezza: nulla può raggiungere il Paradiso Eternità, nulla può essere aggiunto al Vuoto Assoluto, che non è il Nulla, come immaginano alcuni.
Riguardo al nesso tra Realtà e Pace, alcuni affermano sia che la Pace (Silenzio) è la Realtà, sia che la materia è illusoria, irreale. Si tratta di una nozione contraddittoria, come ogni esperienza la Pace esige il cervello, che è “sostanzialmente” materiale; pertanto, la Pace si basa anche sulla materia. Definire la materia irreale e la Pace reale, significa affermare che è reale il prodotto di qualcosa di irreale. In verità, però, né la Pace né la materia sono Reali: la Realtà è senza esperienza e senza materia: il Vuoto Assoluto non è altro che Sé.
Meditazione e morte
Ciò che succede prima della morte può essere scoperto direttamente in meditazione, mentre ciò che accade con la morte e dopo la stessa può essere scoperto sempre in meditazione, indirettamente, tramite deduzione. Direttamente e indirettamente, perché prima della morte ci sono le esperienze, mentre con la morte cessa ogni esperienza. Riguardo il post mortem, va considerato che esiste soltanto dalla prospettiva dei vivi, senza la vita non c’è il tempospazio, pertanto nessuna prospettiva riguardante il prima e il dopo.
Le varie profondità meditative sono direttamente riferibili a ciò che accade nell’avvicinamento alla morte. Lo spegnimento dell’attività sensoriale in meditazione avviene intenzionalmente, perché c’è l’intento di fare ciò, mentre con l’avvicinamento del momento chiamato morte si succedono in modo forzato, a prescindere dalla nostra intenzione.
La Beatitudine è lo stato sperimentato sperimentato in prossimità del momento della morte, la stessa Beatitudine che è l’esperienza più profonda che possiamo produrre in meditazione: la Beatitudine è Meditazione di per sé, a prescindere dal fatto se realizzata in meditazione appartata oppure durante le attività quotidiane, con l’attività sensoriale attiva. La Beatitudine è caratterizzata da una sensazione di grande leggerezza, da una specie di di “assenza” di gravità, sensazione che coincide con le descrizioni dello stato premorte. In meditazione profonda può comparire la luce meditativa, focalizzandoci sulla quale è possibile produrre l’esperienza tunnel di luce descritto da chi ha avuto esperienze premorte. Inoltre, libera dall’attività sensoriale, nella fase premorte la mente può produrre visioni di santi, angeli e persone defunte, visioni producibili anche in meditazione. Le esperienze premorte andrebbero considerate come profondi stati meditativi: nessuno è mai tornato dalla morte, ma riattivi l’attività sensoriale dopo la meditazione più profonda, ritorna dallo stato pre morte! In meditazione possiamo consapevolizzare nuove conoscenze, come accade ad alcuni che riemersi dal coma o da stati di pre morte, sanno cose che prima non conoscevano, proprio perché le hanno consapevolizzate durante la meditazione forzata, chiamata anche processo pre morte.
Diventando super concentrata, la Beatitudine può dissolversi, permettendo così l’emersione dell’Estinzione, lo stato meditativo più profondo. L’Estinzione è uno stato senza esperienza del quale non possiamo essere consapevoli mentre è in atto, ma di cui possiamo divenire consapevoli una volta ritornata la consapevolezza di sé. La scomparsa dell’esperienza di esserci durante l’Estinzione è uguale all’assenza di esperienza di esserci causata dalla morte, “solo” che durante l’Estinzione i processi vitali basilari rimangono attivi, mentre con la morte cessa definitivamente ogni attività vitale. e non ritorna mai più la consapevolezza di sé.
Il passaggio Beatitudine-Estinzione-Beatitudine può rendere possibile la scoperta che con la morte scompariamo definitivamente come individuo (che comunque non scompare durante l’Estinzione, l’individuo permane fino alla morte) e relativa esperienza di esserci, ma rimane comunque il Sé Reale, l’Origine: Ciò che siamo in Realtà, senza individui, senza esperienza. Con la morte scompare definitivamente il principio Io Sono, inscindibile dalla Beatitudine, pura esperienza, Presente esperienziale, ma rimane il “principio” Sussisto, relativo all’Origine, senza tempo, senza esperienza. .
Maturare la consapevolezza sulla relazione: prima della vita-vita-morte-dopo la morte, è un ottimo modo per favorire la liberazione dalla paura della morte, soprattutto se maturiamo la consapevolezza su Ciò che Siamo in Realtà (Origine), Precedentemente la vita. La consapevolizzazione di Ciò può essere egregiamente coadiuvata da domande potenzialmente illuminanti come: Chi sono?, Chi sono in Verità?, Chi sono in Realtà?, Sono colui che morirà oppure Sussisto nOrigine di ogni vita?, come anche da affermazioni meditative quali: Mi apro a consapevolizzare il processo pre morte, Mi apro a scoprire la Vita Precedente la vita, Mi apro a consapevolizzare il Sé Reale.