La volontà è anche un aspetto della realizzazione dell’idea(le) di sé, che è l’identità immaginata. La volontà permette di orientare i processi verso la realizzazione di uno scopo che, se realizzato, porterà l’uomo non sufficientemente consapevole ad aumentare il valore che si attribuisce, oppure, in caso di non conseguimento della meta, a diminuire lo stesso valore: egli tende a definirsi anche in base a ciò che possiede e tutto ciò che ottiene fa parte del suo possedere, pertanto del suo definirsi in base a ciò che ha prodotto. L’uomo Illuminato è, invece, consapevole che qualsiasi cosa faccia non può aggiungere o togliere nulla a ciò  che si è in Realtà (Origine, Sé Reale); tra l’altro, questo gli permette di agire senza attaccamento all’azione e ai suoi frutti.

La realizzazione di uno scopo aumenta il piacere di sé, il piacersi, il definirsi più piacevolmente, migliori. Ne consegue che il desiderio di realizzare lo scopo deriva dal bisogno di maggior appagamento: ciò che veramente cerchiamo è la realizzazione di un maggior piacere, non dello scopo di per sé, lo scopo è solo lo strumento. Il piacere è però effimero, dopo il culmine di piacere avviene il calo della qualità esperienziale, da ciò possiamo dedurre che cercare la realizzazione dello scopo, per provare piacere e piacersi di più, anche piacendo ad altri, è un comportamento solo apparentemente razionale. Il comportamento razionale tende direttamente alla Beatitudine, che esiste a prescindere dal piacere prodotto dall’attività sensoriale, pertanto dai raggiungimenti esteriori, che in verità sono esperienze interiori, prodotti dalla percezione, anche grazie  ai cinque sensi. Per usare intelligentemente l’intelligenza dobbiamo maturare la capacità di produrre Appagamento (Beatitudine) a prescindere da ciò che accade “esteriormente”. Dobbiamo renderci strumento di Beatitudine, sviluppandoci come metodo illuminante sempre più efficace nel liberarci dalla sofferenza e produrre Appagamento; questo anche per esprimere l’Appagamento conseguito,  attraverso il piacere sensoriale, ma senza attaccamento al mondo dei sensi, il che è una delle chiavi per l’integrazione della Spiritualità nella pratica vita quotidiana. Attaccamento significa dipendenza ed è ciò che ci impedisce la Beatitudine, perché dipendiamo dall’afflizione: produrre i piaceri della vita,  differenziandosi solo infinitesimalmente dalla Beatitudine permette di godersi la vita consapevolmente, senza attaccamento alla vita e ai suoi segmenti.

Si può obiettare che l’Illuminazione è uno scopo quasi impossibile da raggiungere, questo è vero se non disponiamo di strumenti qualitativi per Illuminarci, mentre se abbiamo gli strumenti necessari e li utilizziamo come dovuto, l’Illuminazione è cosa praticamente certa. Uno dei problemi relativi all’Illuminazione è ritenerla una questione di speranza, mentre è questione di certezza: facendo le cose necessarie per Illuminarsi, l’Illuminazione è certa, non facendole è sicuro che non ci illumineremo.

Dalla nostra prospettiva siamo noi stessi lo strumento di illuminazione primario, senza noi non può esserci nemmeno la nostra Illuminazione, e per iniziarci come apparato illuminante dobbiamo generare l’intenzione di illuminarci, inziarci come percorso verso l’Illuminazione, altrimenti non possiamo maturare la volontà illuminante.

Si può inoltre obiettare che pochi sono destinati alla ricerca spirituale. Invece, la  ricerca spirituale è destinata praticamente a tutti, alla moltitudine  che cerca la liberazione dalla sofferenza; nel senso che la maturazione della consapevolezza è l’unica vera risposta per liberarsi dall’afflizione. La Beatitudine è anche libertà totale dalla sofferenza e per fruire meglio del potenziale illuminante insito in noi stessi, dovremmo intendere la ricerca spirituale come percorso diretto verso l’Illuminazione, in modo da dare una direzione chiara al nostro cammino spirituale. Avendo, invece, l’intenzione generica di liberarci dalla sofferenza, non definiamo chiaramente la nostra meta e così concorriamo alla creazione di un percorso impreciso, non diretto, con il rischio di fraintendere la spiritualità, intendendola magari come percorso di sofferenza e verso la sofferenza, accusandoci di essere dei gran peccatori che devono espiare i propri peccati, soffrendo. Sapere cosa non vogliamo, in questo caso produrre afflizione, è positivo, ma è molto meglio sapere cosa vogliamo e non volendo più soffrire dobbiamo porci come meta l’Illuminazione, che implica la Beatitudine come esperienza preponderante, a prescindere da ciò che accade “esteriormente”; questo non significa negare l’esistenza della “realtà quotidiana”, vuole dire poter valorizzarla pienamente e comprendere profondamente l’importanza della vita come processo di autorealizzazione Divina. www.andreapangos.it