… alcuni brani tratti dall’articolo «La pratica dello zen», che compare nel volume Zen e filosofia di Shizuteru Ueda, filosofo giapponese contemporaneo:

“In giapponese contrapponiamo i termini isshin («mente risoluta») e mushin («senza mente» o «senza intenzione»); nello zazen conseguiamo la risolutezza per poi abbandonarla per uno stato di assenza di intenzione […]. Così, nello zazen si passa dalla postura seduta con mani e piedi disposti in un certo modo – la concreta espressione della concentrazione – ad uno stato in cui il sé concentrato scompare. È qui che lo zazen si lega al concetto di facilità.
Disporre in questo modo mani e gambe dimostra anche, in modo concreto, che non stiamo facendo nulla con esse. […] In effetti lo zazen può essere considerato come la concreta espressione del completo non fare niente. […]
Prima di raggiungere lo stadio del non fare, si arriva a una impasse in cui si è incapaci di fare alcunché. Il Buddha stesso sperimentò questo. Aveva studiato filosofia e padroneggiava tutte le pratiche religiose dell’epoca, ma era ancora incapace di raggiungere la liberazione. […] Nello zazen non si tratta tanto di decidere di non far niente, quanto di arrivare a un punto morto in cui non si è più capaci di far niente. […]
Sebbene aperti, gli occhi non guardano niente di particolare: sono semplicemente dischiusi verso un luminoso Aperto, che non è il tipo di apertura per la quale il centro è il sé […] senza guardare niente di particolare ma solo restando presenti nella luminosità, non si è il centro ma si è semplicemente aperti a un illuminato Aperto. […] Si tratta di un atteggiamento non «frontale», nel quale niente viene considerato come oggetto. […]
Lo zazen è espressione concreta dello stato concentrato della consapevolezza, ma comprende anche il dissolvimento di tutte le tensioni, una volta raggiunta tale concentrazione. Lo zazen, per chi lo pratica, è una via del tutto libera dalla forma, una via che deve essere appresa attraverso il corpo.
Dobbiamo aggiungere che lo zazen non è semplicemente uno stato o una condizione. Lo zazen è vero zazen quando la condizione di completa consapevolezza si cristallizza nell’infinita domanda riguardante il «che cosa» di questa condizione. È assolutamente vitale che raggiungiamo, e diventiamo totalmente, questo punto morto. Allo stesso tempo, lo zazen è l’espressione pienamente realizzata e concreta della soluzione di tale impasse; nello zazen il corpo esprime già l’Aperto e l’essere-così-com’è, che è in se stesso la risposta alla domanda originaria. […] Nello zazen non si tratta tanto di un fatto di domanda o risposta quanto di diventare pienamente mu [= vuoto].
[…] La pratica dello zazen non è una sorta di «atletica spirituale» in cui tentare di raggiungere, attraverso i propri sforzi, un qualche obiettivo spirituale. […] Da un lato, lo zen sottolinea l’inutilità dello zen: «Sebbene tu pratichi lo zazen, non ne verrà fuori niente!». Dall’altro, afferma: «Nella pratica stessa dello zazen, si è già un buddha». […] Non si diventa un buddha attraverso lo zazen, ma semplicemente viene portato alla luce che lo si è già”.
(Tratto dalla newsletter lameditazionecomevia – sito www.lameditazionecomevia.it)