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Photo by Raul Alexandre

Quando avevo 18 anni e andavo all’Università, mi innamorai. Feci quest’esperienza potente. Per la prima volta nella mia vita ero pronto a fare qualsiasi cosa per un’altra persona. Questo aspetto era molto puro. Ma, all’epoca, essendo diciottenne, non sapevo come rapportarmi all’esperienza; le mie emozioni erano ancora molto immature e ho finito per essere possessivo, esigente e geloso. Non c’era saggezza. Pensavo: “Se ho questa donna, se la posseggo, allora avrò questo sentimento tutto il tempo”. C’era stato un mistico momento di non-egoità, ma non ero pronto. Sono caduto nella vecchia abitudine di affermarmi, di possedere, di essere geloso, rendendomi antipatico e tutt’altro che amabile. Questo accadeva net 1952.

E’ facile classificare tale evento al livello più basso possibile: solo come desiderio sessuale, attaccamento, istinto e così via, liquidandolo in un modo che potrebbe sembrare giustificato. Ma se adesso rifletto su tali esperienze, non posso affermare che si trattasse solamente di desiderio sessuale, anche se questo poi venne. Capisco perché l’amore romantico, che viene sempre raffigurato come unione tra un uomo e una donna, può essere considerato come un simbolo religioso. E capisco anche che sorge quando non c’è più l’interesse egoistico. Questa è forse la più bella e completa esperienza che gli esseri umani possano avere. Ed è un’esperienza mistica. Ma poi dobbiamo vedercela con la nostra natura emotiva che normalmente non è sviluppata.

Gotama il Buddha, il saggio, era un essere umano. Non ha mai preteso di essere una sorta di divinità. Egli perfezionò la sua natura umana. Non divenne superumano, anche se le leggende e le storie tendono a farlo apparire come tale. Preferisco pensarlo come l’esempio di un essere umano che ha realizzato la verità ultima, che nutriva un amore incondizionato per tutti gli esseri. Conoscendo le difficoltà della nostra condizione umana, conoscendo quanto possiamo essere ostinati e stolti, il Buddha ha facto in modo di creare un qualcosa che vive da 2500 anni.

Il nostro maestro in Thailandia, Ajahn Chah, fu per me un’altra figura ispiratrice. Il Buddha è come una leggenda, ma Luang Por Chah [grande padre, in lingua thai] era un essere umano, che respirava come me. Ora è morto, ma per dieci anni ho vissuto in un monastero, con lui. Ho osservato e contemplate la mia vita e il modo in cui reagivo nei confronti di questo altro essere umano, Luang Por Chah. E gli sono molto grato per tutto ciò. Nutro una profonda gratitudine nei confronti del Buddha, il Buddha leggendario, dei discepoli che lo hanno seguito, e in speciale modo del Maestro, persona che nella mia vita mi è stata di grande aiuto.

Una donna venne da me una volta e mi disse: “Non posso essere buddhista”. Le chiesi: “Perché?”, e lei: “Perché sono troppo attaccata ai miei bambini. Sono attaccata a loro; non posso rinunciarci”. Ma coloro, che amano veramente i loro bambini non sono attaccati a loro. L’attaccamento indica sempre che si vuole qualcosa. “Ti amo”, può voler dire “voglio qualcosa in cambio”. Sia di essere riamato, sia di ottenere quello che si vuole. Quando si tratta di un amore condizionato, si cerca sempre di fare una sorta di affare, giusto? Se mi aspetto di essere rispettato, o che mi si dia qualcosa in cambio, o se chiedo qualcosa, allora vuol dire che c’è attaccamento.

Se invece si amano veramente i propri figli, il proprio marito o la propria moglie, o chiunque altro con un vero amore incondizionato, non c’è attaccamento. O se c’è, una volta che se ne diventa consapevoli, bisogna farlo andare via. Una volta che si è notato l’attaccamento ed e sorta l’intenzione di liberarsene — che non vuol dire sbarazzarsi dei propri figli — si smette di chiedere e di ricattare e così via. Ma è un qualcosa che parse dall’interno; è una rinuncia a questa infausta pretesa emotiva. Quell’esperienza d’amore che feci a diciotto anni fu un’esperienza pura, ma c’era anche dell’attaccamento. Ero molto identificato con le emozioni e molto coinvolto in esse. Naturalmente, non avevo idea di come comportarmi. Di solito si cerca di fermare le proprie emozioni, di sopprimerle, ci si sente in imbarazzo, si indulge in esse, si diventa collerici, si cerca di respingerle, o di fuggire. In effetti questa fu l’unica cosa che riuscii a fare: cercare di fuggirle, evitarle, scappare. Alla fine, per uscirne, mi arruolai in Marina. Lo scontai per quattro anni! Questo fu un grande errore!

Nella pratica meditativa buddhista, invece, osservando in profondità e riflettendo su come le cose effettivamente sono, cominciamo a comprendere molti eventi della nostra vita: quando eravamo giovani, o quando abbiamo fatto esperienze che ci hanno sconcertato o confuso. Fa confondere l’amare qualcuno e poi agire in modo tale da allontanare questa stessa persona, facendogli arrivare messaggi sbagliati. Dobbiamo imparare osservando gli effetti di ciò che facciamo, senza criticare, colpevolizzare o indugiare nell’errore, con la volontà di imparare anche dagli sbagli. Questo è il modo per apprendere veramente, per valorizzare le nostre esperienze.

tratto da Lista Sadhana (Guido da Todi www.guruji.it)

<Amore senza attaccamento>
(del venerabile Ajahn Sumedho)
© Ass. Santacittarama, 2009. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Dario Girolami
[Riprendiamo questo articolo dal numero di febbraio 1995 delta rivista
Buddhism Now, poi in traduzione italiana in Paramita, numero 58]
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