Nel cercare di andare al di là di un’esistenza abitudinaria o ignorante, a un certo stadio dovremo necessariamente osservare come ci formiamo un personale senso di sicurezza, la nostra identità. Per tutti noi tale identità sorge, per lo meno in buona parte, dal prendere posizione a favore o contro quello che accade. Possiamo rendercene conto dalla sensazione di sicurezza che proviamo quando sappiamo dove porci rispetto a un’esperienza che affrontiamo o a un problema che ci si presenta. L’abilità di metterci al sicuro attraverso la capacità di discriminare é un nostro normale atteggiamento, ma è opportuna solo fino a un certo punto. Quando questa facoltà di discriminazione assume il comando e diventa chi e cosa siamo, si rivela un grave problema. Significa che non possiamo mai essere liberi dal prendere posizione, dall’essere d’accordo e dal non essere d’accordo, anche in modi sottili, il che crea irrequietezza alla mente. In questo modo non siamo mai semplicemente consapevoli dell’attività della nostra mente. Il nostro desiderio di mantenere una tranquilla indagine finisce in una lotta con la resistenza e la confusione.
Possiamo far chiarezza su questo aspetto considerando le conseguenze del genere di messaggi che abbiamo ricevuto, nei nostri primi anni di vita, riguardo a cosa rappresenti la realtà ultima. Per esempio, quale sarà l’effetto se non ci è stata trasmessa l’idea che Dio è amore, che la realtà ultima si prende cura pervadendo tutto e tutto includendo dell’esistenza; ma ci è invece stata trasmessa l’idea che Dio è un essere che per l’eternità accetta e rifiuta, seguendo un ordine del giorno su cui non abbiamo voce in capitolo, un essere onnipotente che accoglie qualcosa ed espelle qualcos’altro, per sempre? L’effetto è che la parte più alta della nostra psiche discrimina in continuazione e noi siamo prigionieri di un processo intrinsecamente frustrante. Viviamo in uno stato di tensione cronica. Non c’è possibilità di libertà in una visione tanto condizionata. È molto importante esaminarla. Immaginate cosa accade, per esempio, se siamo stanchi o non ci sentiamo bene e non siamo in contatto con la compassione. Se prevale la tendenza a prendere posizione per il bene e contro il male, allora non possiamo accettarci in quello stato. Tutto ciò che facciamo è agire con una mente cronicamente giudicante: “Non dovrei essere così”. L’abituale ricerca di un’identità attraverso il formarsi un’opinione a favore o contro ci tiene rinchiusi o vincolati a un programma immaginario che, in definitiva, è giusto. Ma cosa è giusto in questa situazione?
Alla ricerca dell’identità inseguendo la sicurezza nell’attività condizionata della nostra mente si può contrapporre il sentiero spirituale del trovare benessere e identità nella consapevolezza in se stessa. Quelli che si impegnano nel risveglio si muovono al di là di una ricerca della sicurezza in un’identità personale costruita su punti di vista fissi e opinioni; si muovono nel mondo insicuro e sconosciuto del non sapere dove ci si trova, e infine raggiungono la consapevolezza non giudicante. Se non dobbiamo sapere chi siamo o essere sicuri di essere nel giusto, ma possiamo invece ricevere, nella libertà della consapevolezza, il momento così come si presenta, ci lasciamo alle spalle la nostra dipendenza dalla certezza, con la sua prevedibilità e limitatezza di possibilità. Entriamo in un modo di vivere completamente diverso. Non ci servono garanzie che il nostro gruppo è il migliore o che tutto avrà un esito perfetto. Possiamo tollerare l’incertezza, il che è meravigliosamente liberante. Non ci sembra più impossibile riuscire a conciliarci con le attività del nostro mondo totalmente incerto, senza essere spinti, inavvertitamente, a prendere posizione. Questa scoperta è una buona notizia.
Estratto del libro “La via del benessere”, su gentile concessione dell’Editore Ubaldini. – del venerabile Ajahn Munindo – © Ass. Santacittarama, 2009. Tutti i diritti sono riservati. SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA. Traduzione di Chandra Candiani