Non occorre meditare a lungo per scoprire che un settore della nostra mente vaglia continuamente le esperienze, confrontandole con altre, opponendole ad aspettative o luoghi comuni di nostra creazione, spesso motivati dal timore. Timore di non essere all’altezza, paura che accada qualcosa di brutto, che la situazione favorevole non duri, che altri possano danneggiarci: pensiamo di non farcela, convinti di una cosa sola e cioè di essere gli unici a non sapere nulla.

Tendiamo a vedere la realtà attraverso lenti colorate: la lente del dubbio riguardo al giudicare positivamente o negativamente, al ritenere valida o meno un’idea. Se è buona mi piace, altrimenti no. Se non è né l’uno né l’altro rimango indifferente e la noto appena. Quando vi trovate in stato di tranquillità, la mentalità discriminante si fa sentire come un megafono.

Non sopporto questo dolore al ginocchio… Che noia!… Mi piace questa sensazione di tranquillità; ieri ho svolto una buona meditazione, oggi no… Con me non funziona, non ne sono capace, non riesco e basta. È come portare sul capo una valigia piena di sassi; è un sollievo poterla posare a terra. Immaginate cosa può significare sospendere qualsiasi giudizio, lasciando che ciascun momento rimanga così com’è, senza tentare di valutarlo come «buono» o «cattivo». Questa sarebbe l’autentica serenità, la vera liberazione. Meditazione significa assumere un atteggiamento acritico verso i pensieri di qualsiasi genere che si susseguono nella mente. Altrimenti non ha alcun valore. Questo non significa che i giudizi non continuino; anzi, è nella natura stessa della mente confrontare, giudicare e valutare. Quando questo avviene non dobbiamo tentare di porvi termine o d’ignorarlo, come non cercheremmo di bloccare qualsiasi altro pensiero che ci venisse alla mente.

L’atteggiamento da assumere durante la meditazione consiste semplicemente nel registrare qualsiasi elemento presente nella mente e nel corpo riconoscendolo con spirito neutrale, sapendo che i nostri giudizi sono pensieri inevitabili e necessariamente limitati rispetto all’esperienza. Ciò che c’interessa nella meditazione è il contatto diretto con l’esperienza stessa – si tratti di un’inspirazione o espirazione, una sensazione, un suono, un impulso, un pensiero, una percezione o un giudizio. Dobbiamo però vigilare costantemente sulla tentazione di valutare i giudizi stessi o di etichettarne alcuni come buoni, altri come cattivi. Il nostro pensiero condiziona la totalità dell’esperienza ma il più delle volte tende a essere scarsamente accurato. Solitamente si tratta di opinioni personali disinformate, di reazioni e pregiudizi fondati su conoscenze limitate e influenzate innanzitutto da condizionamenti passati. Tuttavia, se non riconosciuto e identificato come pesantemente ipotecato dal passato, il nostro pensiero può impedirci di veder chiaro nel presente.

Ci culliamo nell’illusione di sapere che cosa vediamo e percepiamo e distribuiamo giudizi a ruota libera su tutto. La familiarità con questo schema profondamente radicato e la sua attenta osservazione possono condurre a maggiore ricettività e accettazione scevre da giudizi. Un orientamento acritico non significa certamente cessare di sapere come agire o comportarsi responsabilmente nella società o pensare che qualsiasi cosa gli altri facciano sia giusta. Vuol semplicemente dire che possiamo agire con più chiarezza nella vita, essere più equilibrati, efficienti ed etici nelle nostre attività sapendo di essere immersi in una corrente di simpatie e antipatie inconsce che costituiscono uno schermo fra noi, il mondo e la purezza essenziale del nostro essere. Forme mentali di predilezione o avversione possono insediarsi permanentemente in noi alimentando inconsciamente comportamenti di dipendenza in tutti gli aspetti della vita.

Quando si è capaci di riconoscere e identificare i semi dell’avidità o della bramosia, per quanto tenui, nel costante desiderio o perseguimento di risultati oppure i semi dell’avversione e dell’odio nel respingere o cercare di evitare certe situazioni, ci si ferma per un momento, ricordando che tali forze sono realmente al lavoro quasi costantemente nella mente con maggiore o minore intensità. Non è esagerato affermare che posseggono una tossicità cronica, quasi virulenta che ci impedisce di vedere le cose così come sono realmente e di mobilitare il nostro autentico potenziale.”

 

Tratto dal libro “Dovunque tu vada, ci sei già” di Jon Kabat-Zinn, G. Arduin