Non nascita e non morte … continua dalla seconda parte

Lo scopo della pratica è di liberarci dalla sofferenza, ma il più grande sollievo è di toccare la nostra vera natura di non nascere e non morire. Ecco perché non dovremmo essere troppo indaffarati nella vita quotidiana, ma trovare sempre il tempo di praticare questo meraviglioso insegnamento del Buddha che ne costituisce la crema, il nettare; sarebbe un terribile spreco non riuscire a praticarlo.

Al tempo del Buddha, c’era un praticante di nome Anathapindika che era un uomo d’affari molto generoso sia dal punto di vista delle risorse materiali che delle energie che metteva al servizio dei più deboli e poveri. La gente nel suo paese lo amava, tanto che gli aveva dato questo nome che significa “colui che si prende cura degli emarginati”. Un giorno si recò nel boschetto di bambù dove il Buddha meditava e gli chiese di accettarlo come suo discepolo e poi lo invitò a recarsi nel suo paese, Kosala. E quando il Buddha accettò, egli tornò felice nel suo paese per trovare un luogo degno di ospitare il Buddha e i suoi discepoli, trovò il palazzo di un principe il quale fu contento di metterlo a disposizione del Buddha e dei suoi discepoli come centro di pratica. Poi l’uomo d’affari con sua moglie e i tre figli presero i cinque meravigliosi addestramenti di consapevolezza e praticarono insieme al Buddha. Cinque anni dopo, Anathapindika si ammalò gravemente e il Buddha personalmente andò a trovarlo a casa dopodiché chiese al suo discepolo più anziano, Sariputra, di prendersi cura di quell’uomo. Sariputra era intimo amico di Anatapindika perché quando quest’ultimo aveva invitato il Buddha nella sua terra lo aveva aiutato ad organizzare l’accoglienza. Sariputra chiese al venerabile Ananda, suo fratello di Dharma, di accompagnarlo a far visita al morente.

Anatapindika fu felice di vedere arrivare i due monaci al suo capezzale, ma era talmente debole da non riuscire a mettersi a sedere e allora Sariputra disse: “Caro amico, non devi metterti a sedere, noi prenderemo due sedie e ci siederemo accanto a te per parlare”.

Dopo essersi seduto Sariputra chiese: “Caro amico, come stai? Il dolore del corpo sta diminuendo o sta crescendo?” “Caro venerabile Sariputra, il dolore del mio corpo non sembrerebbe proprio diminuire, sta aumentando piuttosto.” Shariputra allora propose la meditazione delle tre Rimembranze: la rimembranza del Buddha, la rimembranza del Dharma e la rimembranza del Sangha.

Sariputra era uno dei discepoli più intelligenti del Buddha, egli sapeva che per più di venti anni Anatapindika aveva provato piacere ad essere al servizio del Buddha, del Dharma e del Sangha e perciò sapeva bene che praticare le tre rimembranze avrebbe annaffiato i semi della gioia e dunque propose proprio questo esercizio. Immaginate i due monaci seduti al capezzale di quest’uomo che praticano la meditazione guidata. Dopo circa otto minuti i dolori diminuirono e il sorriso ricomparve sul suo viso. Dobbiamo ricordare l’esperienza di Sariputra quando sediamo accanto a qualcuno gravemente ammalato, così da annaffiare i semi della gioia e dare sollievo alla sua mente ed al suo corpo. Subito dopo, Sariputra invitò Ananda e Anatapindika a continuare una meditazione sui sei organi di senso:

“Questi occhi non sono me,

io non sono preso da questi occhi;

questo corpo non sono io,

io non sono preso da questo corpo;

questa coscienza mentale non è me,

io non sono preso da questa coscienza mentale.”

Dovete sapere che i sei organi di senso, ossia i cinque sensi più la mente, si manifestano quando le condizioni sono sufficienti e se noi ci identifichiamo con loro, la disintegrazione del corpo diventa molto dolorosa. Perciò non dobbiamo identificarci con i sei organi di senso che includono la coscienza mentale e il corpo. In questo modo potremo cancellare tutta la paura che si prova in punto di morte.

C’è una pratica che dice:

“L’elemento terra non è me,

io non sono racchiuso dall’elemento terra;

l’elemento acqua non è me,

io non sono limitato dall’elemento acqua;

l’elemento fuoco, il calore in me, non è me,

io non sono limitato dall’elemento fuoco;

l’elemento aria non è me,

io non sono limitato dall’elemento aria”.

Quando le condizioni sono sufficienti, allora il corpo si manifesta, ma il corpo non viene e non va da nessuna parte. Prima della

manifestazione del corpo non possiamo qualificare il corpo come non esistente. Dopo la cessazione della manifestazione del corpo non possiamo qualificare il corpo come non esistente. La natura del corpo e anche della nostra mente è la natura della non nascita, non morte, non andare, non venire. Ed è proprio questo insegnamento del non nascere, non morire, non andare, non venire che abbiamo imparato all’inizio del discorso di Dharma.

Quando arrivò a questa pratica, le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance di Anatapidika e Ananda, sorpreso, gli chiese che cosa gli stesse succedendo: “Perché piangi, hai dei rimpianti?” “No, venerabile Ananda, non ho nessun rimpianto.” “Oppure non hai praticato con successo la meditazione guidata?” “No, venerabile, ho praticato la meditazione guidata con molto successo” “E allora, perché piangi?” “Piango perché sono commosso, ho praticato il rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha per più di trent’anni, ma non ho mai provato una pratica così meravigliosa come quella fattami provare oggi dal venerabile Sariputra. Al che Ananda replicò: “Caro amico, questo insegnamento il Buddha lo impartisce a noi monache e monaci tutti i giorni” Anatapitika disse: “Per favore, va e riferisci che è vero che ci sono persone che non praticano l’insegnamento dell’essere e non essere, non andare e non venire, non nascere e non morire, ma ce ne sono tante altre però che amano molto praticarlo. Chiedo quindi che il Buddha offra questo insegnamento anche ai laici e non solo ai monaci.” Fu questa l’ultima frase pronunciata da Anatapidika prima di morire in pace.

Questa storia si trova nel libro appena tradotto: “I canti di Plum Village”, nella parte dedicata agli insegnamenti per l’uomo moderno. Per favore, prendetene visione; il mio consiglio è di non essere troppo indaffarati nella vita quotidiana. Dovremmo avere il tempo per praticare ogni giorno questi insegnamenti, perché, se veramente pratichiamo liberandoci della paura, la nostra felicità aumenterà centinaia di volte, e se sediamo accanto ad una persona in fin di vita senza paura potremo davvero aiutarla a non aver paura.

Trascrizione del discorso del 1° novembre 2000 a chiusura del ritiro di Castelfusano (Roma).

fonte: http://www.esserepace.org