La nostra non è la via dell’ascetismo. Se si interpretetano alla lettera i nostri precetti sembra che non ci sia differenza, ma ciò che intendiamo è completamente diverso. Stasera vorrei parlarvi di questa differenza, che ci farà capire meglio la ragione per la quale così tante persone vanno nei centri Zen per praticare e studiare questa antica via.

La nostra civiltà è in un vicolo cieco. Si sta realizzando che non si può andare più avanti, e dunque ci si reca nei centri Zen per trovare una via d’uscita. Il fondamento della nostra cultura è l’individualismo; l’individualismo si basa sull’idea del sé. Fin dai tempi del Rinascimento siamo divenuti consci della nostra natura umana, e abbiamo cominciato a mettere l’accento su tale natura piuttosto che su quella “divina” o “santa”. Volevamo esprimere la nostra natura umana il più possibile. Pertanto la natura santa o natura buddhica è stata rimpiazzata dalla natura umana. Questo è stato il nostro errore. Qualunque sia il principio: comunismo, capitalismo o individualismo, comunque si basa sul diritto o sul potere individuale – la supremazia dell’individuo.

Per esempio, il capitalismo afferma la libertà di domanda e offerta e dunque di desiderio mentre il comunismo pone l’accento sull’uguaglianza. L’uguaglianza e la libertà non sono compatibili. Se si vuole estendere il proprio desiderio quanto più possibile, e si desidera fare ciò liberamente, senza limiti, non si possono dividere le cose equamente. Diciamo a noi stessi: “dobbiamo essere liberi di estendere il nostro desiderio, liberi di possedere quanto più possiamo, nella misura in cui non disturbiamo gli altri”. Ma se si ha troppo quando gli altri non hanno abbastanza, non ci si sente bene. Pertanto queste due idee non sono compatibili.

La libertà di desiderio, e la parità di diritti sono incompatibili perché il nostro pensiero si basa su un principio individualistico. Quando diciamo “uguaglianza”, uguaglianza vuol dire uguale potere. Quando diciamo “desiderio”, “desiderio illimitato”, “libertà di desiderio o di desiderare” intendiamo la nostra libertà o la libertà di qualcuno. Non c’è l’idea di un essere santo o di un Buddha o di un Dio. Non c’è un principio che faccia da sfondo, che dia una appropriata prospettiva all’uguaglianza, al desiderio e alla libertà. Per dare il giusto peso a questi pensieri, occorre postulare un’idea di desiderio non egoistico grande, o comunque senza confini, che non sia semplicemente materialistica o spirituale. C’è bisogno di qualcosa che sia al di là del materiale e dello spirituale. Fintantoché le nostre vite saranno dominate o basate su un principio egoistico, non sarà possibile a ogni principio di trovare il proprio posto senza scontrarsi con gli altri. Dunque non c’è da meravigliarsi se abbiamo delle difficoltà, visto che la nostra vita si basa solo su un’idea superficiale del sé o dell’individuo.

L’ascetismo prima del buddhismo poneva l’accento su una rinascita buona – rinascere in qualche posto dove si prova molto piacere o in un mondo migliore. Questa è una sorta di estensione della pratica egoistica. Nel buddhismo la motivazione non è basata sul desiderio egoistico. Il fine della nostra è di controllare il nostro desiderio affinché questo trovi il proprio posto. Quando si studia il buddhismo si hanno tante idee egoistiche: “Io studio. Io devo capire di cosa si tratta”. Il motivo per il quale si ha un maestro è perché si apprenda la verità nella sua forma più pura, senza estendere la pratica egoistica o avere una comprensione egocentrica. Si pensa che non ci sia nulla di sbagliato nell’estendere il proprio desiderio. Questo è l’errore. Qualcosa accade; qualcosa è sbagliato. Ci deve essere qualcosa di sbagliato se si estende il proprio desiderio senza pensare, senza riflettere o senza osservare.

Quando dico che occorre limitare il proprio desiderio, voglio dire che non bisogna estenderlo nel suo senso limitato. Per esempio: “questo è il mio desiderio” – In tal modo si è già limitata la natura del desiderio. Senza limitazioni vuol dire avere una più vasta comprensione del desiderio che si può estendere all’infinito. L’unico desiderio che è completo è il desiderio di Buddha. Occorre comprendere ciò. Il desiderio perfetto appartiene unicamente a Buddha – il perfetto, che include tutto. Qualunque cosa egli faccia è corretta, perché è un essere completo. Per lui non ci sono amici o nemici. Ciò che esiste è Buddha stesso.

Occorre praticare zazen senza un’idea di ottenimento – l’idea di ottenimento si basa su un principio egoistico. quando si siede soltanto perché questa è la via, il modo indicato dal Buddha, soltanto perché è la via del Buddha, non c’è più una grossa componente egoistica nella propria pratica. Quando si elimina completamente tale componente, di fatto, la nostra è una pratica non egoistica, cioè il vero modo di praticare la verità.

Nel primo capitolo dello Shobogenzo, Dogen Zenji narra una storia molto interessante. C’era un prete chiamato Gensoku, che si occupava del tempio di Hogen Zenji. Ritenendo egli di comprendere molto bene il buddhismo non pose domande al maestro per tre anni. Alla fine, Hogen Zenji gli chiese: “sono già tre anni da quando sei arrivato qui; perché non ti avvicini e fai qualche domanda?”
“Ho studiato per un lungo periodo con Seiho Zenji, è ritengo di aver capito tutto del buddhismo”.
“Che cosa hai capito del buddhismo?”
“Quando il mio precedente maestro mi ha chiesto cosa avevo compreso del detto: ‘studiare il buddhismo è cercare il fuoco’, ho risposto: ‘è come l’uomo che, nato nell’Anno del Fuoco, cercava il fuoco’. Buddha studia il Buddha. Questo è ciò che ho compreso di come studiamo il buddhismo” “Non hai affato compreso cosa il buddhismo sia”, rispose il maestro. Gensoku rimase molto turbato e se ne andò. Dopo aver viaggiato molto pensò: “Hogen è un famoso maestro Zen. Ci deve essere una ragione per la quale ha affermato ciò. C’è la possibilità che mi possa far comprendere effettivamente il buddhismo”. E dunque tornò indietro e chiese a Hogen quale era la via per studiare il buddhismo, e il maestro rispose: “E’ come il fuoco che cerca il fuoco”.

Come Dogen Zenji spiega, quando Gensoku pensò: “Ho compreso il buddhismo; la mia comprensione è perfetta”, la sua comprensione non era affatto perfetta. Quando rinunciò alla sua comprensione intellettuale, limitata del cercare la verità, la sua mente si aprì e si illuminò. Dogen Zenji dice: “Se si comprende come l’accolito e si pensa che quello è il modo di capire il buddhismo, il buddhismo non sopravviverà ancora a lungo. Se ci attacchiamo a qualche insegnamento, il buddhismo non ci può essere trasmesso. Quando estendiamo all’infinito la nostra vera natura, invece dell’io egoista e limitato, allora il buddhismo è lì. Quando ci dimenticheremo di tutte le limitazioni intellettuali dell’insegnamento, allora il vero buddhismo si espanderà all’infinito”.

Senza essere severi con noi stessi non possiamo fare nulla. Dobbiamo riflettere sulla nostra pratica; prima di affermare qualcosa dobbiamo riflettere. Questo è un punto molto, molto importante. Non bisogna fare assegnamento su un insegnamento, ma occorre riflettere, raffinarsi e sbarazzarsi il più possibile dell’idea egoistica. Anche se si ottiene una meravigliosa illuminazione, se ci si dimentica di raffinarsi, questa illuminazione non funzionerà.

Quando raggiungiamo la realizzazione e diveniamo capaci di vedere le cose “così come sono”, qualunque principio consideriamo, sarà accettabile. Il capitalismo andrà bene; il comunismo andrà bene. Quando la nostra comprensione è basata su un’idea egoistica e quando cerchiamo di forzare gli altri ad accettare la nostra opinione senza riflettere sul nostro modo di pensare, il nostro sforzo finirà in un vicolo cieco. Si combatterà con gli altri, questo è tutto. Non si può sopravvivere perché si perdono le proprie radici, le proprie vere radici.

Dobbiamo costantemente aprire i nostri occhi, aprire le nostre menti, e vedere la situazione. Questo è il punto.

(trad. dall’inglese di Dario Girolami)