Rifugio nel Sangha

Il rifugio nel Sangha, l’ultimo, è il rifugio nella nobile amicizia – kalyanamitta. Simboleggia la comunità di uomini e donne, che hanno preso gli ordini o che vivono nel mondo, che hanno preso rifugio in una vita di saggezza e di compassione, in accordo con il Dhamma. Prendono rifugio nell’innocuità, nella gentilezza amorevole e nel rispetto nei confronti di tutti gli esseri viventi. Sono persone che hanno una coscienza morale. Sono consapevoli quando non stanno facendo proprio la cosa giusta o quando stanno agendo in maniera sciocca o dannosa.

Questo rifugio simboleggia la purezza del cuore umano. Ricordo quando per la prima volta ho sentito parlare del concetto di ‘Cuore Puro’. Essere un cuore puro sembrava una cosa buona. E questo rifugio è proprio questo: è un rifugio in ciò che c’è di buono, di sano, di compassionevole e saggio in noi.

Prima che iniziassi ad essere interessata al Buddhismo, andavo nei monasteri Cristiani a fare dei brevi ritiri da sola. La cosa che mi colpì di più in quei posti (allora non sapevo niente dei monasteri buddhisti), era questa grandiosa, pervadente sensazione di rispetto per la vita e per gli altri. Anche il silenzio sembrava essere una specie di attestazione di grande rispetto, che onora il meglio negli esseri umani. Era molto commovente. Non sapevo spiegare cos’era, ma sentivo che le persone erano devote a qualcosa di veramente buono, a qualcosa di realmente vero.

Quando sono venuta a Chithurst e ho incontrato la comunità per la prima volta, ho avuto la stessa identica sensazione di incontrare persone completamente dedite ad onorare la verità, ad essere verità e vivere in conformità con essa. E così il rifugio nel Sangha fu la prima cosa che mi portò alla vita monastica.

Il mio interesse ad unirmi al Sangha monastico è venuto dal desiderio di avere un veicolo e un rifugio sano in me stessa, che mi potesse fare da guida. Mi sono resa conto, per esempio, che senza uno standard etico per contenere e comprendere l’energia dei miei desideri, ero proprio nei guai. Ero sempre molto brava nel sapere cosa fare, cosa essere; ero proprio un’esperta nel creare ideali. Ma, per qualche motivo, l’energia dei miei desideri aveva idee molto diverse al riguardo. Le mie abitudini all’auto-gratificazione da una parte, e il mio forte desiderio di verità dall’altra, non si incontravano, non sembravano essere buoni amici.

Uno delle prime cose che mi fu subito chiara quando mi unii al Sangha, fu che i precetti erano i miei migliori amici e i miei protettori. Non ho mai avuto la sensazione che fossero invadenti. Al contrario, sapevo che mi sostenevano e mi ricordavano di essere più consapevole quando parlavo, agivo, pensavo o mangiavo o anche quando dormivo.

L’addestramento del corpo e della mente richiede un’enorme quantità di pazienza e di compassione. Le nostre abitudini sono forti e se in passato abbiamo vissuto una vita abbastanza superficiale, non possiamo pretendere di diventare subito virtuosi. Quando si arriva al monastero, non si diventa santi in una notte. E non è un ritiro di meditazione o il fatto di rispettare i precetti per dieci giorni che ci farà trasformare, non è vero? Ma, almeno, abbiamo una situazione e un insegnamento che ci possono aiutare a guardare ciò che non è corretto o abile nel nostro comportamento e nelle nostre abitudini, e a farci pace.

Così prendiamo rifugio nel Sangha e usiamo gli standard seguiti da quelli che hanno percorso il sentiero prima di noi e che si sono liberati. Questo rifugio pone in evidenza il nostro impegno in una condotta virtuosa, in un modo di vivere che protegge e nutre la pace del cuore e ci ricorda la nostra intenzione di liberarlo. Se non avessimo queste linee guida, ci dimenticheremmo facilmente di noi stessi. E in questo siamo molto bravi. Infatti questo è quello che la mente è più intenta a fare, e lo fa tutto il tempo, dimentica. Ma quando prendiamo rifugio nella presenza mentale, nel Dhamma e nella purezza delle nostre intenzioni di liberarci dalle illusioni, ci ricordiamo di avere gli strumenti necessari per addestrare il cuore e per vedere con chiarezza l’incompetenza delle nostre abitudini, delle nostre parole, dei nostri pensieri, ecc.

Questi rifugi possono sembrare tre: Buddha, Dhamma e Sangha, ma, in realtà, sono soltanto uno. Non c’è uno senza l’altro. Quando ci sono virtù e intenzione di vivere in armonia, con compassione e rispetto per se stessi e per gli altri, allora c’è una crescita naturale della consapevolezza, in armonia con il Dhamma, e siamo più in sintonia con la verità. Tutti interagiscono e si condizionano a vicenda.

All’inizio non sappiamo bene che cosa siano e dove siano questi rifugi. Sembra che siano soltanto parole. Ci si può sentire persino confusi e non avere fede. Ma, con la pratica, continuando a lasciare andare il nostro attaccamento a pensieri, sentimenti e percezioni, essi diventano una realtà crescente.

Possiamo realmente fare esperienza di questi rifugi. Diventano una parte della nostra vita, parte di qualcosa al quale possiamo tornare, proprio qui, proprio ora. Non dobbiamo aspettare. Sono sempre presenti nel nostro cuore. Qui, ora, nel momento presente. Questa è la vera bellezza della pratica del Sentiero. Questa totale semplicità, questa immediatezza, in sé completa. Non c’è altro di cui avere bisogno. Prendendo solo i Tre Rifugi abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per liberare il cuore.

Prendere rifugio – Introduzione
Prendere rifugio – nel Buddha
Prendere rifugio – nel Dhamma
Prendere rifugio – nel Dhamma (2 parte)
Prendere rifugio – nel Sangha

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(di Sister Ajahn Sundara)

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© Ass. Santacittarama, 2009. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Tradotto da Gabriella De Franchis

[Tratto dal libro “Freeing the heart”, reperibile dal sito www.amaravati.org.]

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