Rifugio nel Buddha

Il rifugio nel Buddha è il rifugio nella conoscenza. Il Buddha conosce il mondo, che nel Buddhismo non significa il mondo delle montagne, dei fiumi e degli alberi, ma il mondo che sorge nella nostra mente – corpo e la sofferenza che creiamo a causa dell’ignoranza.

Nella nostra recitazione quotidiana diciamo che il Buddha conosce il mondo, egli conosce l’origine del mondo, la sua fine; conosce il modo in cui la mente crea la realtà nella quale viviamo, l’universo attraverso il quale navighiamo. Percorrendo il cammino, iniziamo anche a vedere chiaramente il sentiero che ci porta fuori dalla sofferenza. Qualcuno oggi mi ha chiesto: “Chi è che conosce? Chi è che è consapevole?” Una buona domanda, vero? Perché io non trovo nessuno che è consapevole, e voi? Per molto tempo ho cercato di trovare qualcuno consapevole dentro di me. Alla fine ho desistito. Ricordo che durante un ritiro di meditazione con un famoso maestro birmano, molto tempo fa, si parlava di “Chi fosse colui che conosce. Chi è?” Uno degli assistenti rispose: “Una super coscienza.” ‘Colui che conosce, è una super coscienza’ a quei tempi mi piacque molto.

Così immaginai che il mio cervello fosse tante piccole specie di mini-coscienze con una sorta di ombrello in cima, una super coscienza. Mi sentivo proprio bene; ebbi la sensazione certa di sapere qualcosa su questo Buddha, questa mente del Buddha, ‘colui che conosce’. Ma sfortunatamente, visto che la natura della mente è quella che è, dopo circa due o tre giorni iniziai a pormi domande e ad avere dei dubbi, perché questo succede naturalmente. Non appena abbiamo una risposta, sicuramente ci sorgerà un dubbio. E’ così che funziona.

E sin da allora ho fatto pace con il fatto che forse non c’è nessuno che conosce. Solo conoscenza; e sembra che vada bene. Sembra che la conoscenza sia capace di andare avanti con o senza i miei dubbi. Anche se non ho una risposta posso sempre prendere rifugio nell’essere il ‘conoscitore’, nell’essere colui che è consapevole, che può vedere.

Eppure, a volte, siamo capaci di fare diventare un grosso problema anche questo. Possiamo creare qualcuno che conosce e poi stare male perché abbiamo qualcuno che non conosce. Rimaniamo delusi quando giù in fondo, dentro di noi non abbiamo qualcuno che conosce; e magari siamo super felici quando troviamo qualcuno che è consapevole. Vedete, si tratta di nuovo dell’oscillazione tra piacere e dolore, tra felicità e infelicità. Ma, ‘Colui che conosce’ è proprio l’elemento che mette in equilibrio le oscillazioni estreme della mente. ‘Colui che conosce’ è ciò che viene chiamato la Via di Mezzo.

Possiamo vedere gli estremi della mente, felicità, infelicità, piacere e dolore, ispirazione e disperazione. Possiamo vedere speranza e depressione. Possiamo vedere apprezzamento e biasimo. Possiamo vedere agitazione, sonnolenza, noia, tutto. E quel vedere è un elemento di equilibrio, perché diventiamo consapevoli del nostro attaccamento a questi stati d’animo, a questi stati della mente. Senza rifugio nella conoscenza, nella mente risvegliata, non saremmo mai in grado di guardare la mente; saremmo persi nella confusione. Quindi, il rifugio nella conoscenza è molto importante. Insieme i rifugi si chiamano i Tre Gioielli; e sono veramente come dei bei gioielli ai quali possiamo tornare ogni volta che c’è confusione, ogni volta che c’è agitazione. Possiamo sempre tornare indietro e prendere rifugio nella conoscenza di questi stati, non li dobbiamo pensare, non dobbiamo psicoanalizzarci. Possiamo realmente tornare indietro alla conoscenza; e quello che succede allora, è che vediamo ciò che il Buddha ha visto: l’impermanenza. Possiamo vedere che non vale la pena restare attaccati a questi stati, perché sono non sostanziali, sono insoddisfacenti. E abbiamo la strana sensazione che forse noi non siamo ‘Questo’, che forse non ha niente a che fare con ‘Me’. Forse la mia depressione non è la ‘Mia’ depressione. Non sarebbe meraviglioso se ci rendessimo conto che la nostra tristezza in realtà non è una cosa personale? Molti problemi nella nostra vita li creiamo noi, perché siamo portati a pensare che qualsiasi cosa ci accada sia personale: ‘Povero me’, ‘Queste cose capitano solo a me’, ‘Sono l’unico ad avere questo problema’. Tutti gli altri ci sembrano tremendamente sicuri, non è vero? Specialmente, se ci manca fiducia in noi stessi. Ci sembra che tutti gli altri siano infinitamente forti e che sappiano veramente quello che stanno facendo. Prima la pensavo così: guardavo qualcuno e, se mi sentivo un po’ depressa o infelice, mi potevo anche convincere che quella era una persona a posto, che stava bene. Io ero l’unica ad avere problemi. Finché non mi resi conto che anche loro avevano problemi. Poiché, per natura, siamo creature cha hanno al centro l’io, tutto diventa il ‘mio’ problema, la ‘mia’ vita, il ‘mio’ dolore, le ‘mie’ relazioni. Le ‘mie’ tragedie. Sembra che tutto giri intorno a ‘Me’. Il rifugio nel Buddha ci permette di vedere questo molto chiaramente; ed è un rifugio compassionevole, non è un rifugio che giudica. Quando prendiamo rifugio nella consapevolezza, non dobbiamo giudicarci, condannarci o essere arrabbiati con noi stessi. Possiamo osservare la tendenza a giudicare, ad arrabbiarsi e a pretendere da noi stessi. E’ un rifugio molto compassionevole. Infatti quel rifugio è uno dei primi versi della nostra recitazione, ‘La compassione del Buddha è vasta come l’oceano,’ e quel rifugio in realtà significa questo: è una dimora meravigliosa, piena di compassione. E così abbiamo tre dimore, tre rifugi. Abbiamo il rifugio nel Buddha. Non ha un tetto, né riscaldamento, ma ci si sta molto bene. Fa sentire molto sicuri, molto fiduciosi; specialmente se vediamo quanta agitazione c’è nella nostra vita e quanto sia inaffidabile e insicura. Diventando più consapevoli abbiamo una visione chiara e una chiara comprensione del samsara, l’interminabile ciclo di nascita e morte. E noi siamo tutti qui per liberarci da questo nostro attaccamento. Prendere rifugio nel Buddha ci tiene effettivamente in contatto con ciò che è reale, ciò che è realmente vero. Questo è uno dei motivi per i quali tendiamo a dimenticarcene. Il significato di presenza mentale è ‘memoria’, ricordare. Ogni volta che ci perdiamo nell’essere sciocchi o sgarbati, o nell’essere arrabbiati o impazienti o stupidi, possiamo ricordare. Possiamo ricordarci anche che non dobbiamo cambiare noi stessi. La compassione di questo rifugio è quella che ci fa essere consapevoli di quello che sta accadendo, non c’è giudizio; non dobbiamo diventare qualcuno che non è arrabbiato o che non è stupido. Possiamo, di fatto, riconoscere quello che sta accadendo ed accettarlo in coscienza e nel nostro cuore. Appena abbiamo questa chiara visione di quanto sta accadendo, ci rendiamo conto che sta cambiando e vediamo chiaramente l’inutilità di lottare per mantenere le cose permanenti, per mantenere noi stessi come entità permanenti. Siamo in continuo cambiamento e quindi che motivo c’è di essere questa persona che proteggiamo, che viziamo e che cerchiamo, in tutti i modi, di rendere felice? La maggior parte delle nostre lotte nella vita è per creare situazioni dove ‘me’, la mia personalità, non dovrà mai affrontare sofferenze, o patire il dolore, non si sentirà mai in imbarazzo, non dovrà vergognarsi, non si sentirà colpevole. Ecco perché siamo così bravi a dimenticare, e dobbiamo imparare nuovamente a ricordare. Dobbiamo imparare ad essere consapevoli, ad avere sati (presenza mentale) nel nostro cuore come rifugio e protezione – essa ci protegge, protegge il cuore.

Prendere rifugio – Introduzione
Prendere rifugio – nel Buddha
Prendere rifugio – nel Dhamma
Prendere rifugio – nel Dhamma (2 parte)
Prendere rifugio – nel Sangha

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(di Sister Ajahn Sundara)

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© Ass. Santacittarama, 2009. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Tradotto da Gabriella De Franchis

[Tratto dal libro “Freeing the heart”, reperibile dal sito www.amaravati.org.]

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