Nessuno può negare l’esistenza di alti e bassi in una relazione. In ogni esperienza vissuta senza il riconoscimento del qui e ora si nasconde sempre anche qualcosa di doloroso, perché niente dura in eterno: le condizioni piacevoli e le belle sensazioni prima o poi si dissolvono. Persino quando le circostanze sono ottimali, ad esempio se abbiamo una vita agiata, siamo persone rispettabili e il divertimento non ci manca, la sensazione di una perdita imminente è in qualche modo sempre presente, come un rumore di sottofondo. Eppure, piuttosto che rivolgere la nostra attenzione alla crescita spirituale affrontando onestamente la situazione, ci dedichiamo a svaghi e divertimenti.

In tempi felici nessuno, pur sapendo com’è la vita, pensa alla possibilità che le condizioni possano peggiorare. Questa consapevolezza della minaccia costante dell’impermanenza è una prima impressione di sofferenza molto sottile. Quando ci si avvicina alla sofferenza profonda per la prima volta, fisicamente o mentalmente, il senso di stabilità svanisce e, come se il mondo avesse architettato un complotto ai nostri danni, cominciamo a credere che il dolore non passerà mai perchè inizia a permeare ogni nervo, ogni cellula, ogni flusso di coscienza della mente. Nel buddhismo questa viene definita come la sofferenza della sofferenza: finché non abbiamo controllo sui nostri stati mentali, ogni attimo è occupato da un insieme di dolore, sconforto e paura del futuro. In caso di separazione, morte, fallimento, o quando ci capita qualcosa di cui vergognarci, non ci sono d’aiuto né le parole o le azioni degli amici più compassionevoli, né l’assistenza sociale.

Tutti gli esseri sono occupati a godersi le bellezze della vita, si spera il più spesso possibile, pur sapendo che prima o poi tutto finisce e arrivano anche i dispiaceri. Al di là di questi alti e bassi esiste tuttavia una terza condizione d’infelicità ancora più sottile, che permarrà fino all’illuminazione: la sofferenza dell’ignoranza. Non ci ricordiamo di quando eravamo nel grembo di nostra madre, del momento della nascita e tanto meno delle vite precedenti, e sul futuro possiamo solo tirare a indovinare: anche questo tipo d’ignoranza è un velo che offusca la mente e oscura la felicità. È un velo che chi non pratica può squarciare solo in brevi istanti, quando una sorta di visione intuitiva produce un’esperienza di riconoscimento che ci fa esclamare: “A-Ah!”. Da un punto di vista buddhista, se non si matura e non ci si orienta verso valori duraturi, le esperienze, anche quelle dolorose, si ripeteranno in tutte le vite future. È quello che viene definito ciclo del mondo condizionato, samsara in sanscrito.

[estratto da Il Buddha e l’amore, Lama Ole Nydahl, (2006) Mondadori]