1) La vita è sofferenza.
2) L’origine della sofferenza è l’attaccamento.
3) La cessazione della sofferenza è possibile.
4) Il percorso per la cessazione della sofferenza.

1) La vita è sofferenza.

Vivere vuol dire soffrire, perché la natura umana non è perfetta e non è il mondo in cui viviamo. Nel corso della nostra vita, sopporteremo sofferenze fisiche come il dolore, la malattia, dolore fisico, stanchezza, vecchiaia, e infine la morte; e sopporteremo sofferenze psicologiche come tristezza, paura, frustrazione, delusione e depressione.  Anche se ci sono diversi gradi di sofferenza e ci sono anche esperienze positive nella vita che noi percepiamo, la vita, nella sua totalità è imperfetta e incompleta, perché il nostro mondo è soggetto a impermanenza.
Questo significa che non siamo mai in grado di mantenere permanentemente quello che abbiamo, e la stessa vita nostra e dei nostri cari un giorno finirà.

2) L’origine della sofferenza è l’attaccamento.

L’origine della sofferenza è l’attaccamento alle cose transitorie e l’ignoranza della stessa. Le cose transitorie non comprendono solo oggetti fisici che ci circondano, ma anche idee, e in un certo senso, tutti gli oggetti della nostra percezione. L’ignoranza è la mancanza di comprensione di come la nostra mente è attaccata alle cose impermanenti. Le ragioni della sofferenza sono il desiderio, la passione, l’ardore, la ricerca della ricchezza e il prestigio, la ricerca di fama e popolarità, o in breve: il desiderio e l’attaccamento in genere. Poiché gli oggetti del nostro attaccamento sono transitori, la loro perdita è inevitabile, e così insorge la sofferenza. Oltre agli oggetti di attaccamento anche l’idea di un “sé” che è un inganno. Ciò che noi chiamiamo “io” è solo una entità immaginato, e noi siamo solo una parte del incessante divenire dell’universo.

3)  La cessazione della sofferenza è possibile.

La cessazione della sofferenza può essere raggiunta attraverso nirodha. Nirodha è  il disfacimento della brama sensuale e l’attaccamento concettuale.La terza nobile verità esprime l’idea che la fine della sofferenza può essere ottenuta mediante il conseguimento del distacco. Nirodha spegne tutte le forme di attaccamento. Questo significa che la sofferenza può essere superata attraverso l’attività umana, semplicemente rimuovendo la causa della sofferenza. Il raggiungimento ed il perfezionamento del distacco è un processo composto da molti livelli che in ultima analisi è lo stato di Nirvana.  Nirvana significa libertà da tutte pe preoccupazioni, le paure, o qulasiasi forma di idea concettuale. Il Nirvana non è comprensibile per chi non l’ha raggiunto.

4)  Il percorso per la cessazione della sofferenza.

C’è un percorso per la fine della sofferenza – un percorso graduale di auto-miglioramento, che viene descritto più dettagliatamente nel Sentiero dell’insegnamento Buddhista comunemente chiamato ottuplice sentiero. E ‘la via di mezzo tra i due estremi di un eccesso di autoindulgenza (edonismo) e  auto-mortificazione (ascetismo) che conduce alla fine del ciclo delle rinascite.
Questi sono gli otto punti:
1) retta comprensione
2) retto pensiero
3) retta parola
4) retta azione
5) retta condotta di vita
6) retto sforzo
7) retta consapevolezza
8) retta concentrazione

Riassumendo, la prima verita’ consiste nel capire la natura reale della vita. La seconda nella comprensione precisa dell’origine della sofferenza, che è l’attaccamento. La terza nel comprendere che esiste un modo per estirpare il desiderio. La quarta nel percorrere il sentiero che porta alla comprensione totale che è il Nirvana.


Bibliografia:
le-radici-della-felicita-libroLe radici della felicità – Ezra Bayda

C’è forse un equivoco alla base dell’insoddisfazione cronica da cui sembriamo circondati. Da dove ci aspettiamo che possa giungere la soddisfazione? In altre parole, qual è la felicità che cerchiamo?

L’idea comune di felicità si porta dietro una lunga serie di stereotipi, non da ultima l’illusione di avere il diritto acquisito alla felicità, la convinzione che la vita ci ‘debba’ qualcosa. L’uomo occidentale viene fin da piccolo educato allo sforzo, alla lotta per ottenere risultati, e anche dove tali obiettivi siano meritevoli e apprezzabili, rimangono nella sfera personale del transitorio e dell’effimero.

C’è invece un’altra felicità, che lo zen tocca con leggerezza e ironia, e di cui Bayda indica la strada al lettore.

Essa si trova in un’altra dimensione, al di là del recinto delle aspettative che riponiamo nel lavoro, nelle relazioni, nel denaro, ma anche negli insegnamenti spirituali, e che generano insoddisfazione cronica per il semplice fatto di essere formulate come aspettative.

Il terreno della ‘felicità fondamentale’ nasce e si nutre all’interno, nella capacità di accogliere l’esperienza, quella positiva e quella negativa, essendo presenti e svegli al momento presente, senza sforzarsi di cambiare, senza far interferire i pensieri e le emozioni con l’esperienza.

Se queste possono sembrare solo parole, immergendosi nella lettura si scoprirà invece un approccio empirico e scarno, basato su poche e semplici indicazioni per il lavoro interiore, meditativo e introspettivo… Strumenti elementari ma affilati, che possono essere utilizzati per aprirsi un varco verso la felicità profonda.
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