Presto o tardi nella pratica arriviamo a un punto in cui non possiamo più ignorare il fatto che sentiamo che qualcosa non va per il verso giusto; un punto in cui le asserzioni e i vari accorgimenti non funzionano più. Certo, abbiamo sempre la possibilità di rinunciare e di indulgere alle nostre convinzioni nelle possibilità di appagamento offerte dalla gratificazione dei sensi. Ma abbiamo anche la possibilità di proseguire sul nostro sentiero di pratica: quello di ascoltare profondamente e di ricevere le nostre emozioni con accresciuto impegno.

Ascoltiamo il brontolio dei rumori che vengono dal profondo e pensiamo: “Mamma mia, cosa succederà se faccio saltare il coperchio di tutto questo?”. Può emergere una paura molto reale quando cominciamo a incontrare la nostra vita non vissuta. Di solito, viene in mente di aggrapparsi alla bottiglia, farsi uno spinello, o mettere una bella musica, o fare qualsiasi cosa tranne sentire la terribile sensazione di essere portati via da qualcosa di sconosciuto e di terrificante. Ma dove mai ci porterebbe? Siamo in Inghilterra, perbacco! Non siamo in un qualche sfortunato paese pieno di tiranni che ci opprimono; qui siamo in Inghilterra, la dolce Inghilterra. Per nostra fortuna, non c’è niente “là fuori” che ci aggredisca. L’unica cosa che ci possa sopraffare è la nostra natura selvaggia. E non essendo altro che la nostra energia, non c’è niente di cui aver paura. Naturalmente ci sono momenti in cui sembra che ci sia qualcosa da temere, ma ricordiamoci che il semplice fatto di aver paura non significa che ci stia per accadere qualcosa di terribile. Quante volte siamo stati gabbati dall’apparenza di queste emozioni ingannevoli?

Anziché chiederci cosa siano le emozioni, cerchiamo di domandarci: “Con quanta libertà riesco a ricevere me stesso in questo campo di esperienza?”, e poi lasciamo che le emozioni ci insegnino qualcosa della vita, della realtà. Se, facendoci questa domanda, ci imbattiamo in una sensazione di impedimento, investiamola di interesse. “Come e dove mi sento impedito? Nella pancia? In gola? C’è la sensazione che non mi permetto di sentire queste emozioni? E’ questo che crea la sensazione di essere bloccato o di non poter conoscere me stesso?”.

Se siete stati educati in modo rigido e repressivo, vi hanno forse insegnato che certe sensazioni non va bene sentirle, il senso di colpa per esempio. Oppure che se avete un senso di colpa dovete seguire lo schema del chiedere perdono per potervene liberare. Se continuate a sentirvi in colpa, significa che non siete e non potete essere parte del “club”, siete esclusi, siete caduti in basso. Nella mia infanzia ho scoperto che, per quanto ci provassi, non potevo smettere di sentirmi in colpa. Di certo non volevo smettere di fare le cose divertenti che mi facevano poi sentire colpevole, e quindi cosarestava se non negare il senso di colpa? Sentirsi in colpa di vivere è così irrazionale che la mente razionale decide di ignorarlo. Grande errore! Come risultato, finiamo per sviluppare un’abitudine a negare qualsiasi cosa sentiamo, in questo caso il senso di colpa. E così facendo, neghiamo un’intera area della nostra vita, non siamo liberi di sentire non solo le emozioni dolorose, ma anche quelle positive. E’ triste.

I sensi di colpa, come tutte le emozioni, sono aspetti di quella che potremmo definire “energia del cuore”. Penso fosse Erich Fromm a rilevare che, se questa energia, che per sua natura è dinamica, viene negata, emergerà in una forma o nell’altra: come eccesso o come perversione. Quello che avrebbe potuto essere un salutare senso di vergogna morale diventa così un senso distorto di indegnità. Questo impedimento mentale peculiare dell’Occidente è un insieme di rabbia e paura, un senso di rabbia giustificata diretta verso se stessi nel tentativo di sentirsi bene odiandosi per essere cattivi. E nello stesso tempo, c’è una paura della dannazione eterna che attanaglia le viscere.

Ma la buona notizia è che tutto questo dramma non aspetta che di essere accolto nella consapevolezza. Con la sensibilità e la forza del cuore nate dalla pratica costante della presenza mentale, nasce alla fine una prontezza nel rivolgerci a noi stessi e incontrarci. Quel che scopriamo è la meravigliosa verità che non c’è niente di cui aver paura, niente di niente, tranne la mancanza di una ben allenata presenza mentale.

Questa linea di investigazione può essere applicata a tutte le emozioni. Se, per esempio, respingiamo la rabbia, se ci hanno insegnato che “i bravi ragazzi e le brave ragazze non si arrabbiano”, cresciamo con la paura della rabbia. Siamo terrorizzati da qualcosa di totalmente naturale. Quel che sperimentiamo come rabbia è effettivamente l’energia del nostro cuore. E’ qualcosa con cui abbiamo bisogno di essere in intima familiarità. Il lavoro di purificazione ha bisogno di tutta la nostra energia. Non possiamo mettere sotto chiave porzioni del cuore perché le troviamo sgradevoli. Non possiamo permetterci di nutrire sensi di alienazione e di paura della nostra natura passionale. Se questo condizionamento va avanti non riconosciuto per troppo tempo, l’energia, nascosta e difficile da mettere allo scoperto, diventerà tossica.

Forse dovremo attraversare un’umiliante esplosione di rabbia prima di iniziare a sospettare che c’è. O magari sperimenteremo notti e notti di sogni violenti. Se l’energia resta non accolta, allora l’unica alternativa è, come dicevo, una caduta nella perversione o nell’eccesso. Per le tipologie più introverse, nella cui categoria rientra la maggior parte dei meditanti, il disgusto di sé è spesso la norma. “Non valgo niente, sono un caso senza speranza e ho fallito in tutto. Mi metto una maschera e recito, ma fondamentalmente sono uno schifo. Mi odio totalmente”. Oppure la paranoia: “Tutti mi odiano, tutti cercano di farmi del male”. Il carattere più estroverso è inclino a cadere negli eccessi di espressioni violente e aggressive. Lo si vede da come le persone si danno al bere o sono violente nelle relazioni e in famiglia. Queste bassezze sono un sintomo dell’intrinseca cattiveria della gente? Niente affatto: è un segno che la rabbia non è stata compresa. La rabbia, se non viene accolta, è incontrollata e pericolosa, ma il punto è la relazione che abbiamo con l’energia e non l’energia in se stessa. Come meditanti è necessario comprenderlo. E io credo che tale comprensione arriva se siamo effettivamente interessati alla realtà di quel che chiamiamo emozioni e non solo alla loro concettualizzazione.

Se ci imbarchiamo in questa investigazione, non solo arriveremo a un più profondo senso di appagamento personale, ma troveremo anche una comprensione del perché il nostro mondo è un posto così strano e cosa possiamo fare per aiutarlo.

Grazie della vostra attenzione

(del venerabile Ajahn Munindo)

© Ass. Santacittarama, 2008. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Dal libro “Liberta’ inattesa”
Traduzione di Chandra Livia Candiani.

(Estratto del libro “Libertà inattesa”, su gentile concessione dell’Editore Ubaldini)

Parte prima

Presto o tardi nella pratica arriviamo a un punto in cui non possiamo più ignorare il fatto che sentiamo che qualcosa non va per il verso giusto; un punto in cui le asserzioni e i vari accorgimenti non funzionano più. Certo, abbiamo sempre la possibilità di rinunciare e di indulgere alle nostre convinzioni nelle possibilità di appagamento offerte dalla gratificazione dei sensi. Ma abbiamo anche la possibilità di proseguire sul nostro sentiero di pratica: quello di ascoltare profondamente e di ricevere le nostre emozioni con accresciuto impegno.

Ascoltiamo il brontolio dei rumori che vengono dal profondo e pensiamo: “Mamma mia, cosa succederà se faccio saltare il coperchio di tutto questo?”. Può emergere una paura molto reale quando cominciamo a incontrare la nostra vita non vissuta. Di solito, viene in mente di aggrapparsi alla bottiglia, farsi uno spinello, o mettere una bella musica, o fare qualsiasi cosa tranne sentire la terribile sensazione di essere portati via da qualcosa di sconosciuto e di terrificante. Ma dove mai ci porterebbe? Siamo in Inghilterra, perbacco! Non siamo in un qualche sfortunato paese pieno di tiranni che ci opprimono; qui siamo in Inghilterra, la dolce Inghilterra. Per nostra fortuna, non c’è niente “là fuori” che ci aggredisca. L’unica cosa che ci possa sopraffare è la nostra natura selvaggia. E non essendo altro che la nostra energia, non c’è niente di cui aver paura. Naturalmente ci sono momenti in cui sembra che ci sia qualcosa da temere, ma ricordiamoci che il semplice fatto di aver paura non significa che ci stia per accadere qualcosa di terribile. Quante volte siamo stati gabbati dall’apparenza di queste emozioni ingannevoli?

Anziché chiederci cosa siano le emozioni, cerchiamo di domandarci: “Con quanta libertà riesco a ricevere me stesso in questo campo di esperienza?”, e poi lasciamo che le emozioni ci insegnino qualcosa della vita, della realtà. Se, facendoci questa domanda, ci imbattiamo in una sensazione di impedimento, investiamola di interesse. “Come e dove mi sento impedito? Nella pancia? In gola? C’è la sensazione che non mi permetto di sentire queste emozioni? E’ questo che crea la sensazione di essere bloccato o di non poter conoscere me stesso?”.

Se siete stati educati in modo rigido e repressivo, vi hanno forse insegnato che certe sensazioni non va bene sentirle, il senso di colpa per esempio. Oppure che se avete un senso di colpa dovete seguire lo schema del chiedere perdono per potervene liberare. Se continuate a sentirvi in colpa, significa che non siete e non potete essere parte del “club”, siete esclusi, siete caduti in basso. Nella mia infanzia ho scoperto che, per quanto ci provassi, non potevo smettere di sentirmi in colpa. Di certo non volevo smettere di fare le cose divertenti che mi facevano poi sentire colpevole, e quindi cosarestava se non negare il senso di colpa? Sentirsi in colpa di vivere è così irrazionale che la mente razionale decide di ignorarlo. Grande errore! Come risultato, finiamo per sviluppare un’abitudine a negare qualsiasi cosa sentiamo, in questo caso il senso di colpa. E così facendo, neghiamo un’intera area della nostra vita, non siamo liberi di sentire non solo le emozioni dolorose, ma anche quelle positive. E’ triste.

I sensi di colpa, come tutte le emozioni, sono aspetti di quella che potremmo definire “energia del cuore”. Penso fosse Erich Fromm a rilevare che, se questa energia, che per sua natura è dinamica, viene negata, emergerà in una forma o nell’altra: come eccesso o come perversione. Quello che avrebbe potuto essere un salutare senso di vergogna morale diventa così un senso distorto di indegnità. Questo impedimento mentale peculiare dell’Occidente è un insieme di rabbia e paura, un senso di rabbia giustificata diretta verso se stessi nel tentativo di sentirsi bene odiandosi per essere cattivi. E nello stesso tempo, c’è una paura della dannazione eterna che attanaglia le viscere.

Ma la buona notizia è che tutto questo dramma non aspetta che di essere accolto nella consapevolezza. Con la sensibilità e la forza del cuore nate dalla pratica costante della presenza mentale, nasce alla fine una prontezza nel rivolgerci a noi stessi e incontrarci. Quel che scopriamo è la meravigliosa verità che non c’è niente di cui aver paura, niente di niente, tranne la mancanza di una ben allenata presenza mentale.

Questa linea di investigazione può essere applicata a tutte le emozioni. Se, per esempio, respingiamo la rabbia, se ci hanno insegnato che “i bravi ragazzi e le brave ragazze non si arrabbiano”, cresciamo con la paura della rabbia. Siamo terrorizzati da qualcosa di totalmente naturale. Quel che sperimentiamo come rabbia è effettivamente l’energia del nostro cuore. E’ qualcosa con cui abbiamo bisogno di essere in intima familiarità. Il lavoro di purificazione ha bisogno di tutta la nostra energia. Non possiamo mettere sotto chiave porzioni del cuore perché le troviamo sgradevoli. Non possiamo permetterci di nutrire sensi di alienazione e di paura della nostra natura passionale. Se questo condizionamento va avanti non riconosciuto per troppo tempo, l’energia, nascosta e difficile da mettere allo scoperto, diventerà tossica.

Forse dovremo attraversare un’umiliante esplosione di rabbia prima di iniziare a sospettare che c’è. O magari sperimenteremo notti e notti di sogni violenti. Se l’energia resta non accolta, allora l’unica alternativa è, come dicevo, una caduta nella perversione o nell’eccesso. Per le tipologie più introverse, nella cui categoria rientra la maggior parte dei meditanti, il disgusto di sé è spesso la norma. “Non valgo niente, sono un caso senza speranza e ho fallito in tutto. Mi metto una maschera e recito, ma fondamentalmente sono uno schifo. Mi odio totalmente”. Oppure la paranoia: “Tutti mi odiano, tutti cercano di farmi del male”. Il carattere più estroverso è inclino a cadere negli eccessi di espressioni violente e aggressive. Lo si vede da come le persone si danno al bere o sono violente nelle relazioni e in famiglia. Queste bassezze sono un sintomo dell’intrinseca cattiveria della gente? Niente affatto: è un segno che la rabbia non è stata compresa. La rabbia, se non viene accolta, è incontrollata e pericolosa, ma il punto è la relazione che abbiamo con l’energia e non l’energia in se stessa. Come meditanti è necessario comprenderlo. E io credo che tale comprensione arriva se siamo effettivamente interessati alla realtà di quel che chiamiamo emozioni e non solo alla loro concettualizzazione.

Se ci imbarchiamo in questa investigazione, non solo arriveremo a un più profondo senso di appagamento personale, ma troveremo anche una comprensione del perché il nostro mondo è un posto così strano e cosa possiamo fare per aiutarlo.

Grazie della vostra attenzione

(del venerabile Ajahn Munindo)

© Ass. Santacittarama, 2008. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Dal libro “Liberta’ inattesa”
Traduzione di Chandra Livia Candiani.

(Estratto del libro “Libertà inattesa”, su gentile concessione dell’Editore
Ubaldini)

Parte prima