Non si può negare, e nessuna esperienza spirituale lo negherà, che questo è un mondo non ideale e non soddisfacente, fortemente segnato dal marchio dell’imperfezione, della sofferenza e del male. In realtà, questa percezione è, in un certo modo, il punto di partenza della spinta spirituale – eccetto per quei pochi ai quali l’esperienza spirituale viene spontaneamente, senza esservi forzati dall’acuto, schiacciante, doloroso e alienante senso dell’Ombra che incombe sull’intero campo di questa esistenza manifestata. Rimane tuttavia il problema se questo, come alcuni sostengono, sia veramente il carattere essenziale di tutta la manifestazione, oppure se, almeno finché esisterà un mondo fisico, esso debba rivestire questa natura, così che il desiderio della nascita e la volontà di manifestarsi o di creare debbano essere considerati il peccato originale, mentre il ritirarsi dalla nascita o dalla manifestazione l’unica via possibile di salvezza. Per quelli che percepiscono così il mondo o in modo più o meno analogo – e questi sono stati la maggioranza – esistono ben note vie d’uscita e scorciatoie che portano alla liberazione spirituale. Ma può anche darsi che il mondo non sia così e che sembri così solo alla nostra ignoranza o ad una conoscenza parziale: l’imperfezione, il male e la sofferenza possono essere una circostanza o un passaggio dolorosi ma non la condizione stessa della manifestazione, non la vera e propria essenza della nascita nella Natura. E se è così, la suprema saggezza non starà nella fuga, ma nella spinta verso una vittoria quaggiù, in una consenziente collaborazione con la Volontà che è dietro al mondo, in una scoperta della porta spirituale verso la perfezione che sarà allo stesso tempo un’apertura per la totale discesa della Luce, della Conoscenza, del Potere e della Beatitudine divini.

Tutta l’esperienza spirituale afferma che esiste un Permanente al di sopra della transitorietà di questo mondo manifestato in cui viviamo e di questa limitata coscienza nei cui stretti confini brancoliamo e ci dibattiamo, e che le sue caratteristiche sono l’infinità, l’esistenza in sé, la libertà, la Luce assoluta e la Beatitudine assoluta. Vi è forse allora un abisso invalicabile tra ciò che è al di là e ciò che è qui o si tratta di due perpetui opposti, e solo lasciandosi dietro quest’avventura nel Tempo, saltando al di là dell’abisso, gli uomini possono raggiungere l’Eterno? Questo sembra il punto d’arrivo di una linea d’esperienza che è stata seguita fino alla sua rigorosa conclusione dal Buddhismo e, un po’ meno rigidamente, da un certo tipo di spiritualità monistica che ammette qualche connessione del mondo col Divino ma che finisce tuttavia con l’opporli l’uno all’altro come verità e illusione. Ma c’è anche un’altra e indiscutibile esperienza: che il Divino è qui in ogni cosa così come sopra e dietro a ogni cosa, che tutto è in Quello ed è Quello quando ritorniamo dalla sua apparenza alla sua Realtà. È un fatto significativo e illuminante che colui che conosce il Brahman, pur muovendosi e agendo in questo mondo, pur sopportandone tutti gli urti, può vivere in una pace assoluta, in una luce e beatitudine assolute del Divino. C’è quindi qui qualcos’altro, oltre a quella nuda e cruda opposizione: c’è un mistero, un problema che sembra debba ammettere qualche soluzione meno disperata. Questa possibilità spirituale apre altri orizzonti e porta un raggio di speranza nella nostra esistenza decaduta.

E sorge subito una prima domanda: questo mondo è una successione invariabile di fenomeni sempre uguali oppure c’è in esso una spinta evolutiva, un fatto evolutivo, una qualche scala ascendente che porta da un’apparente Incoscienza originale a una coscienza sempre più sviluppata e che, di sviluppo in sviluppo, continua ad ascendere, per emergere alle supreme altezze ancora al di fuori della nostra normale portata? Se così, qual è il senso, il principio fondamentale, il risultato logico di questa progressione? Tutto sembra indicare che una tale progressione è un fatto, che è un’evoluzione spirituale e non puramente fisica. A comprovarlo, esiste anche in questo caso una linea di esperienza spirituale in cui scopriamo che l’Incosciente da cui tutto ha principio è solo apparente, perché in esso si trova una Coscienza involuta con infinite possibilità, una coscienza non limitata ma cosmica e infinita, un Divino nascosto e imprigionato in se stesso, imprigionato nella Materia, ma che nelle sue segrete profondità contiene ogni potenzialità. Fuori di questa apparente Incoscienza, una alla volta si rivelano le varie potenzialità: dapprima la Materia organizzata che nasconde lo Spirito immanente, poi la Vita che emerge nella pianta e si associa nell’animale a una Mente in crescita, infine la Mente stessa che si sviluppa e organizza nell’Uomo. Questa evoluzione, questa progressione spirituale si arresta forse bruscamente qui nell’imperfetto essere mentale chiamato Uomo? O il suo segreto è semplicemente una successione di rinascite il cui unico scopo è avanzare faticosamente fino al punto in cui possa riconoscere la propria futilità, rinunciare a sé e saltare in qualche primigenia Esistenza senza nascita o in qualche Non-Esistenza? Comunque c’è la possibilità, e ad un certo punto diventa certezza, che esiste una coscienza molto più grande di quella che chiamiamo Mente, e che salendo ancora più in alto la scala possiamo trovare un punto in cui cessa il dominio dell’Incoscienza materiale, dell’Ignoranza vitale e mentale; un principio di coscienza diventa capace di manifestazione e libera, non in modo parziale o imperfetto, ma radicale e totale, questo Divino imprigionato. In tale visione, ciascuno stadio dell’evoluzione sembra il risultato della discesa di un Potere sempre più alto di coscienza, che solleva il livello terrestre e crea un nuovo strato; ma i Poteri supremi devono ancora discendere e sarà con la loro discesa che l’enigma dell’esistenza terrestre verrà risolto, e allora non solo l’anima ma la Natura stessa troverà la sua liberazione. È questa la Verità che fu vista a lampi, in modo sempre più completo, da quella linea di veggenti che i Tantra chiamavano i ricercatori-eroi, i ricercatori-divini; tale verità è forse ora quasi pronta ad essere pienamente rivelata e sperimentata. Allora, per quanto sia duro il peso della lotta, della sofferenza e dell’oscurità nel mondo, se è tuttavia questo l’alto risultato che ci attende, tutto ciò che è avvenuto prima non può essere considerato dai forti e dagli avventurosi un prezzo troppo alto per lo splendore a venire. Ad ogni modo l’ombra si dissolve; c’è una Luce divina che si protende sul mondo, ed essa non è solo un remoto Splendore incomunicabile.

È vero che rimane ancora il problema: perché è stato necessario tutto ciò, questi rozzi inizi, questo lungo e tempestoso passaggio? Perché è stato richiesto un prezzo così gravoso e pesante? Perché sono sempre esistiti il male e la sofferenza? Riguardo al come (e non al perché) della caduta nell’Ignoranza, alla sua causa effettiva, c’è un sostanziale accordo in tutte le esperienze spirituali: l’ha prodotta la divisione, la separazione, il principio d’isolamento dal Permanente e dall’Uno; è perché l’ego ha preso una posizione indipendente nel mondo, preferendo affermare il proprio desiderio e la propria importanza invece della propria unità col Divino e della propria identità con il tutto; è perché, invece di lasciare l’unica Forza, Saggezza e Luce suprema a determinare l’armonia di tutte le forze, fu permesso a ciascuna Idea, Forza e Forma delle cose di svilupparsi fin dove poteva nella massa delle infinite possibilità, mediante la propria volontà separata e inevitabilmente, alla fine, mediante il conflitto con le altre. La divisione, l’ego, la coscienza imperfetta, il brancolamento e la lotta di un’affermazione di sé separata sono la causa effettiva della sofferenza e dell’ignoranza di questo mondo. Non appena le coscienze si separarono dalla coscienza unica, caddero inevitabilmente nell’Ignoranza, e l’ultimo risultato dell’Ignoranza fu l’Incoscienza. Da un immenso oscuro Incosciente è sorto questo mondo materiale, e da esso sorge un’anima che, attraverso l’evoluzione, cerca di farsi strada per entrare nella coscienza, attirata dalla Luce nascosta, e ascende, sebbene ancora ciecamente, verso la Divinità perduta da cui venne.

Ma perché questo doveva accadere? Un modo comune di porre la domanda e di rispondervi dovrebbe essere fin dall’inizio eliminato, ossia il modo umano con la sua ribellione e riprovazione etiche e la sua protesta emotiva. Perché non è, come alcune religioni suppongono, una Divinità personale, sovracosmica e arbitraria, di per sé non coinvolta assolutamente nella caduta, ad aver imposto il male e la sofferenza a creature prodotte dal capriccio del suo fiat. Il Divino che noi conosciamo è un Essere infinito nella cui infinita manifestazione sono venute queste cose; è il Divino stesso che è qui, dietro a noi, a pervadere la manifestazione, a reggere il mondo con la sua unità; è il Divino stesso a sostenere in noi il fardello della caduta e delle sue oscure conseguenze. Se, lassù, Egli sta in eterno nella sua Luce, Beatitudine e Pace perfette, Egli è anche quaggiù; la sua Luce, la sua Beatitudine e la sua Pace sono segretamente qui e sostengono tutto; in noi stessi esiste uno spirito, una presenza centrale più grande delle tante personalità di superficie, e che, come il Divino supremo stesso, non è dominata dal fato che quelle subiscono. Se scopriamo questo Divino in noi, se conosciamo noi stessi come questo spirito che è uno in essenza e in essere con il Divino, questa è la porta della nostra liberazione, e vi possiamo rimanere anche in mezzo alle disarmonie di questo mondo, luminosi, beati e liberi. Questa è la testimonianza, antica quanto il mondo, dell’esperienza spirituale.

Ma ancora, qual è lo scopo e l’origine della disarmonia? Perché questa divisione e quest’ego, questo mondo con un’evoluzione così penosa? Perché il male e il dolore devono insinuarsi nel Bene, nella Beatitudine e nella Pace divini? È difficile rispondere all’intelligenza umana rimanendo al suo stesso livello, perché la coscienza cui appartiene l’origine di questo fenomeno e per la quale esso è in qualche modo automaticamente giustificato in una conoscenza superintellettuale, è un’intelligenza cosmica e non un’intelligenza umana individualizzata; essa vede spazi più vasti, ha un’altra visione e cognizione e stati di coscienza, diversi dalla ragione e dal sentimento umani. Alla mente umana si potrebbe rispondere che mentre in sé l’Infinito può essere libero da queste perturbazioni, tuttavia, una volta iniziata la manifestazione, sono iniziate anche infinite possibilità, e fra le infinite possibilità che la manifestazione universale ha la funzione di elaborare, una di queste è stata ovviamente la negazione, l’apparente negazione effettiva (con tutte le sue conseguenze) del Potere, della Luce, della Pace e della Beatitudine. Se si chiede perché tale negazione, anche se era solo una possibilità, sia stata accettata, la risposta più vicina alla Verità cosmica che l’intelligenza umana possa formulare è che nelle relazioni o nel passaggio dal Divino nell’Unità al Divino nel Molteplice, quest’infausta possibilità è divenuta a un certo punto inevitabile. Infatti, una volta che appare, essa acquista per l’Anima che scende nella manifestazione evolutiva un’attrazione irresistibile che crea l’inevitabilità — un’attrazione che, in termini umani e a livello terrestre, potrebbe tradursi con il richiamo dell’ignoto, la gioia del pericolo, della difficoltà e dell’avventura, la volontà di tentare l’impossibile, di realizzare l’incalcolabile, la volontà di creare il nuovo e l’increato con il proprio essere e la propria vita quali materiali, il fascino degli opposti e della loro difficile armonizzazione — tutte cose che, tradotte in un’altra coscienza, sovrafisica, superumana, più alta e più vasta di quella mentale, hanno costituito la tentazione che ha portato alla caduta. Per l’essere originario di luce che si accingeva a discendere, le uniche cose ignote erano infatti le profondità dell’abisso, le possibilità del Divino nell’Ignoranza e nell’Incoscienza. Dall’altro lato, nell’Unità divina, c’era una vasta acquiescenza compassionevole, consenziente, soccorrevole, una conoscenza suprema che questa possibilità doveva essere, e che, essendo apparsa, doveva realizzarsi, che la sua apparizione faceva parte in un certo senso di un’insondabile, infinita saggezza, e che se l’immersione nella Notte era inevitabile, l’emersione in un nuovo Giorno senza precedenti era anch’essa una certezza, e solo così poteva essere effettuata una sicura manifestazione della Verità suprema — attraverso un’elaborazione dei suoi opposti fenomenici come punto di partenza dell’evoluzione, come condizione posta per un’emersione trasformatrice. Questa acquiescenza abbracciava anche la volontà del grande Sacrificio, la discesa del Divino stesso nell’Incoscienza per prendere su di sé il fardello dell’Ignoranza e delle sue conseguenze, intervenendo come l’Avatar [Incarnazione divina] e la Vibhuti [Emanazione divina], che camminano tra il doppio segno della Croce e della Vittoria verso il compimento e la liberazione. È forse questa una rappresentazione troppo immaginativa della Verità inesprimibile? Ma come presentare senza immagini all’intelletto un mistero che lo supera di molto? Solo quando si è attraversata la barriera dell’intelligenza limitata e si è partecipi dell’esperienza cosmica e della conoscenza che vede le cose per identità, le supreme realtà che stanno dietro a queste immagini — immagini che corrispondono alla realtà terrestre — assumono le loro forme divine ed appaiono semplici, naturali, inerenti all’essenza delle cose. Solo entrando in quella coscienza più grande si può afferrare l’inevitabilità della sua creazione e del suo scopo.

Questa, infatti, è solo la Verità della manifestazione come si presenta alla coscienza quando essa si trova sulla linea di confine tra l’Eternità e la discesa nel Tempo, dove la relazione tra l’Uno e il Molteplice nell’evoluzione è determinata: una zona in cui tutto ciò che dev’essere è implicito, ma non ancora in atto. Ma la coscienza liberata può elevarsi più in alto, dove il problema non esiste più e, da lì, vederlo alla luce di una suprema identità in cui tutto è predeterminato nella verità automatica e spontanea delle cose e giustificato di fronte a una coscienza e saggezza assolute e a una Gioia assoluta che sono dietro a ogni creazione e noncreazione, e in cui l’affermazione e la negazione sono entrambe viste con gli occhi della Realtà ineffabile che le libera e le riconcilia. Ma questa conoscenza non è esprimibile per la mente umana; il suo linguaggio di luce è troppo indecifrabile, la luce stessa troppo luminosa perché una coscienza abituata allo sforzo e all’oscurità dell’enigma cosmico e intrappolata in esso ne possa seguire il filo o afferrarne il segreto. In ogni caso, solo quando ci eleviamo nello spirito, oltre la zona dell’oscurità e della lotta, entriamo nel suo pieno significato e l’anima viene liberata dal suo enigma. Elevarsi a quell’altezza di liberazione è la vera soluzione e l’unico mezzo di conoscenza indubitabile.

Ma la liberazione e la trascendenza non impongono necessariamente una scomparsa, un puro e semplice dissolvimento fuori della manifestazione; possono preparare invece una discesa della suprema Conoscenza nell’azione e un’intensità di Potere capace di trasformare il mondo e di portare a compimento l’impulso evolutivo. È un’ascesa da cui non si ricade più ma da cui si può prendere il volo per una discesa alata di luce, forza e Ananda.

Ciò che è inerente alla forza dell’essere si manifesta come divenire; ma quale sarà la manifestazione, le sue condizioni, l’equilibrio delle sue energie, l’ordinamento dei suoi principi dipende dalla coscienza che agisce nella forza creatrice, dal potere di coscienza che l’Essere libera da se stesso per la manifestazione. È nella natura dell’Essere poter graduare e variare i propri poteri di coscienza e determinare, secondo i gradi e le variazioni, il proprio mondo o il livello e la portata della propria rivelazione. La creazione manifestata è limitata dal potere a cui appartiene, vede e vive accordandosi ad esso; essa può vedere di più, vivere con più potere e cambiare il suo mondo solo aprendosi o muovendosi verso un più grande potere di coscienza che sia sopra di essa, o facendolo discendere. Questo è quanto sta accadendo nell’evoluzione della coscienza nel nostro mondo, un mondo di materia inanimata che, sotto la spinta di queste necessità, produce un potere di vita e un potere mentale che apportano in esso nuove forme di creazione, e che ancora si sforza di produrre e di far discendere in sé qualche potere supermentale. È inoltre un’operazione della forza creatrice che si muove fra due poli di coscienza: da un lato una coscienza segreta, interiore e al di sopra, che contiene in sé tutte le potenzialità di luce, pace, potere e beatitudine, là eternamente manifeste, qui in attesa di realizzarsi; dall’altro, una coscienza esteriore, in superficie e al di sotto, che parte dall’apparente opposto d’incoscienza, inerzia, sforzo cieco e possibilità di sofferenza, e cresce ricevendo dentro di sé sempre più alti poteri che la costringono a sempre ri-creare la sua manifestazione in termini più vasti, in modo che ognuna di queste nuove creazioni esprima qualcosa della potenzialità interiore e renda sempre più possibile far discendere la Perfezione che attende al di sopra. Finché la personalità esteriore, che chiamiamo noi stessi, è centrata nei poteri inferiori della coscienza, la nostra esistenza, il suo scopo e la sua necessità sono per noi un enigma insolubile; se per caso qualche bagliore della verità viene dato a quest’uomo mentale esteriore, egli l’afferra solo imperfettamente e probabilmente l’interpreta male, lo usa e lo vive in maniera sbagliata. Il vero sostegno del suo cammino sta più nel fuoco della fede che in qualche accertata e indubitabile luce di conoscenza. Solo elevandosi a una coscienza superiore oltre il confine mentale, e quindi ora per lui supercosciente, egli può emergere fuori della sua incapacità e della sua ignoranza. La sua completa liberazione e illuminazione verranno quando avrà oltrepassato quel confine e sarà entrato nella luce di una nuova esistenza supercosciente. Questa è la trascendenza a cui aspiravano i mistici e i ricercatori spirituali.

Ma questo, in sé, non cambierebbe nulla nella creazione quaggiù: l’evasione dal mondo di un’anima liberata lascia il mondo immutato. Tuttavia questo attraversamento del confine mentale, se rivolto non solo a uno scopo di ascesa, ma anche di discesa, significherebbe la trasformazione del confine da quello che è adesso — un coperchio, una barriera — in un passaggio per i poteri superiori di coscienza dell’Essere che ora sono al di sopra. Significherebbe una nuova creazione sulla terra e l’intervento dei poteri superiori che rovescerebbero le condizioni di questo mondo; produrrebbe inoltre una creazione proiettata nel pieno flusso della luce spirituale e supermentale al posto di una creazione che, fuori dall’oscurità dell’incoscienza materiale, emerge nella semiluce della mente. Solo in un pieno flusso dello spirito realizzato l’essere incarnato potrebbe conoscere, con tutto ciò che questo comporta, il significato e la necessità temporale della sua discesa nelle condizioni dell’oscurità e, allo stesso tempo, dissolverle tramite una loro luminosa trasmutazione in una manifestazione, qui sulla terra, del Divino rivelato e non più velato, o travestito o apparentemente deformato.

(tratto da: Sri Aurobindo, Lettere sullo Yoga, vol.I, Edizioni Arka)